La caduta
Mi sono imbattuto recentemente in un libro molto interessante di Tommaso Tuppini, La caduta. Fascismo e macchina da guerra, edito da Orthotes. Il testo non indaga il fenomeno del fascismo in generale, ma si concentra sul nazionalsocialismo, che l’autore definisce fascismo tedesco. Non è uno studio storico o storiografico, piani direi ampiamente indagati, ma filosofico. Un tentativo di ricostruzione dell’ideologia nazista partendo da un confronto sia con i teorici della weltanschauung nazionalsocialista, sia con i grandi autori, soprattutto legati alla filosofia francese contemporanea, che più si sono impegnati nel confronto con questo che è stato un fenomeno storico ed un approccio ideologico insieme. Ne emerge un vero e proprio cambio di paradigma, che sottrae l’ideologia hitleriana al campo della biopolitica dove era stata confinata. Un campo che aveva posto al centro dell’azione nazionalsocialista la tutela della vita (il bios), interpretando tutta la teoria razziale come un sistema di tutela della salute pubblica. Una lettura portata avanti da grandi filosofi come Deleuze, Guattari, Foucault e che ha avuto ampia fortuna anche in Italia, con protagonisti come Roberto Esposito e Giorgio Agamben, che recentemente l’ha applicata alle politiche di contenimento del Covid, con conclusioni davvero sconcertanti arrivate fino al paragone dei medici che contrastano il Covid nelle corsie dei nostri ospedali a Mengele (!). Prese di posizione che, credo, si commentino da sole, ma che fanno capire il successo culturale di una visione filosofica purtroppo degenerata in ideologia. Tuppini cambia totalmente prospettiva, avvicinando senza volerlo quella che è l’interpretazione ebraica del nazismo, la quale non può che prendere le mosse dalla Torah stessa, in cui è ben presente la figura di una tribù senza volto (come senza volto era l’individualità nella Germania nazista) che assumerà come scopo identitario lo sterminio del popolo ebraico. Mi riferisco, naturalmente, alla figura di Amalek. Al centro dell’ideologia nazista, dice l’autore, non c’è la vita, ma la morte, che è il vero scopo della macchina statale hitleriana. Il nazismo è un’ideologia regressiva del tutto paragonabile alla definizione freudiana di pulsione di morte: quell’impulso a ripristinare una condizione originaria. Si crea così una vera e propria mistica dell’origine, che pervade ogni aspetto della cultura nazista: dalla teoria razziale (ritorno alla razza pura delle origini), alla pedagogia, fino alla tecnica militare, su cui Tuppini insiste con pagine bellissime per capacità analitica e sintetica insieme. Un’ideologia regressiva che indica sinistramente l’obiettivo dell’autodistruzione, dove la quiete della morte è il ritorno all’origine perduta. Bello contrapporre queste pagine di Tuppini, così da me lette, alle farneticazioni heideggeriane emerse dai quaderni neri, che indicavano nel fumo dei camini di Auschwitz il naturale destino del popolo ebraico: un popolo per sua natura nomade e deterritorializzato (evidentemente non attirava l’attenzione de filosofo la crescita esponenziale, soprattutto in Germania, del fenomeno sionista), non può che evaporare nell’aria. Tuppini, ed è una delle conseguenze del suo ribaltamento di prospettiva, pensa esattamente il contrario, attribuendo al carnefice il destino immaginato per la vittima. Una prospettiva che aiuta anche a spiegare la folle strategia suicidaria degli ultimi anni di guerra della Germania nazista. È proprio di un’ideologia della morte che ci hanno parlato, da quando lo hanno fatto, i reduci e le reduci dei lager nazisti. Nessuno, se non con astrazioni teoriche, ci ha raccontato la Germania nazista come una celebrazione della vita, in stile alleluia biblico. Tutto il contrario, l’atmosfera mortuaria pervadeva ogni spazio. Un libro, oltre che rigoroso e filosoficamente di grande rilievo, coraggioso, che non teme di andare in controtendenza rispetto a mode ideologiche di cui anche in questo periodo abbiamo misurato l’astrazione. Detto francamente, fra questo testo e il famoso «Quel che resta di Auschwitz» del già citato Agamben passa lo stesso abisso che separa la verità dalla finzione. Sarebbe bello che Tuppini fosse coinvolto in un dibattito con ambienti ebraici, potrebbe fornire strumenti per definire l’esperienza più atroce attraversata dal popolo di Israele.
Davide Assael
(30 dicembre 2020)