Vaccino anti-Covid,
cosa dice la Halakhah

Nelle ultime settimane, a seguito dell’approvazione e dell’introduzione del primo vaccino anti-Covid 19, assistiamo a un dibattito crescente nella società sull’opportunità di avvalersi del prodotto. Voglio qui provare con serenità a cogliere il bandolo di una matassa che appare sempre più inestricabile. Parto dal presupposto che dobbiamo aver fiducia nella scienza come strumento per la risoluzione di problemi. Se dire “Non mi vaccino per il momento” è a mio avviso comprensibile, dire “Non mi vaccinerò mai” è inaccettabile e irresponsabile. Ma fiducia non deve significare fede cieca. Le certezze scientifiche si prestano a cambiamenti, talvolta repentini. Pertanto disapprovo anche chi intenderebbe squalificare dal servizio quei medici che ora manifestano perplessità sul vaccino, come se la loro deontologia professionale li costringesse ad aderire a un credo al quale ora sembrano all’improvviso abiurare. L’Unico in cui crediamo fermamente è il Santo Benedetto che ci libererà da ogni sciagura.
La situazione in cui ci troviamo non è nuova nella storia della medicina e dell’umanità. Alla fine del Settecento il medico inglese Edward Jenner incontrò inizialmente serie opposizioni alla sua intuizione sull’innesto del vaiolo. Delle polemiche di allora troviamo riscontro anche nella letteratura rabbinica e precisamente in un Responso di scuola italiana. Il grande Posseq R. Ishma’el ha-Cohen di Modena (Rav Laudadio Sacerdote, m. 1810) fu interpellato dal Rav Yehudah Chayim Ghiron di Casale Monferrato affinché fornisse un parere halakhico “in merito al dibattito insorto or ora se sia permesso procedere all’inoculazione del vaiolo come fanno i re, mentre altri sostengono che non è il caso di competere con i danneggiatori (il virus)”. All’inizio del suo Responso (Zera’ Emet, Yoreh De’ah, 32), rav Cohen riassume la questione come segue. La vaccinazione presenta essa stessa un pericolo di vita e se anche diciamo che chi si ammala rischia di più, non si è però procurato la morte attivamente per mano dell’uomo. Alla fine il rabbino rivede in parte il proprio scetticismo e conclude che non vede motivo di proibire l’innesto, “dal momento che il beneficio e la salvezza sono più probabili della perdita e del rischio, considerato anche che non si usa adottare la misura se non laddove il contagio è già diffuso. Si possono pertanto asseverare le parole degli scienziati a sostegno di tale operazione”. A condizione che il medico attesti che non si evidenzia un rischio per il soggetto che vi si sottopone.
Parere favorevole, dunque, ma niente affatto entusiasta. Questa lettura mi suggerisce peraltro due considerazioni.
Con il senno di poi oggi siamo concordi nel considerare la vaccinazione antivaiolosa uno dei grandi portati della modernità: grazie a essa non solo abbiamo allontanato la malattia, ma a distanza di tempo siamo riusciti a dichiarare estinto, negli anni Settanta del secolo scorso, uno degli agenti patogeni più temibili per il genere umano.
Il vaccino anti-Covid di oggi non si è finora dimostrato altrettanto pericoloso quanto l’innesto del vaiolo duecento anni fa, per lo meno sul breve termine. Dobbiamo invece considerare quanti lutti e quante sofferenze ha addotto la nostra pandemia nel mondo, con centinaia di morti al giorno solo in Italia.
Il timore del vaccino è soprattutto legato alla tempistica molto veloce di elaborazione, dovuto all’incalzare della malattia, che non ha consentito una sperimentazione adeguata in merito a eventuali effetti collaterali sul lungo periodo. Ebbene R. Ishama’el ci risponde anche su questo. Nell’introduzione egli scrive, fra i motivi per rifiutare l’innesto, che in termini di “sopravvivenza momentanea” (chayyè sha’ah, che pure la Halakhah prende in considerazione nei casi di morte certa) la malattia dà più respiro del vaccino perché quest’ultimo, se si rivela mortale, uccide subito dopo l’inoculazione. Oggi i termini di ragionamento sono invertiti. A fronte di possibili rischi del vaccino a lungo termine, l’esposizione al contagio da Covid ha un potenziale di letalità certamente più ravvicinato.
L’altra obiezione mossa al vaccino anti-Covid è di ordine economico. Secondo alcuni si tratterebbe di una truffa o di un complotto internazionale finalizzati ad arricchire le case farmaceutiche. Nessuno ha mai fatto niente per niente, né lo si può pretendere. Salvare vite umane è una grande Mitzwah, ma non si può chiedere ai medici e ai ricercatori di dedicarvisi gratis et amore Dei. La Halakhah stabilisce che il personale sanitario ha il diritto di essere retribuito non per il suo impegno intellettuale, che è effettivamente parte della Mitzwah, ma per il tempo investito e le energie profuse nel lavoro. “Se comunque (il paziente) ha pattuito con il medico una cifra cospicua è tenuto a versargliela, perché (lo scienziato) gli vende la propria scienza e ciò non ha prezzo” (Shulchan ‘Arukh, Yoreh De’ah 336,3, a nome del Nachmanide). Aggiunge rav Chayim David ha-Levy (Resp. ‘Asseh lekhà Rav 6, n. 63) che il medico, anche pubblico, ha diritto a uno stipendio fra i più elevati, che sia in grado di garantire a lui e alla sua famiglia un mantenimento degno, affinché possa continuare a dedicarsi alla scienza. La pandemia contemporanea, oltre che tanti morti, ha provocato un’estesa povertà, privando molti del proprio lavoro e di un mantenimento certo. Rifiutando il vaccino forse non sosterremo le finanze degli scienziati (e della ricerca!), ma certamente non contribuiremo alla ripresa economica di nessuno di noi.
Il rabbinato contemporaneo è per lo più favorevole al vaccino. Nessuno scrive che c’è un divieto halakhico di assumerlo. In un recente comunicato il Rabbinical Council of America richiama anzi alla responsabilità personale e collettiva insita in questa scelta e scrive che appena se ne abbia la possibilità ci si sottoponga al vaccino anti-Covid dopo aver consultato il proprio medico curante. Dello stesso parere è rav Chayim Kanievski in Eretz Israel. Rav Asher Weiss, uno dei massimi esperti viventi di bioetica ebraica, ha diffuso un video in cui esprime il suo sì alla vaccinazione. Quanto a rischi annessi e connessi? La difesa dai pericoli non è semplicemente una facoltà, ma un obbligo della Torah (Maimonide, Hil. Rotzeach u-Shmirat ha-Nefesh 11,5). Chi stabilisce che cosa sia da ritenersi pericoloso? Un certo comportamento può essere condiviso anche se presenta un margine di rischio trascurabile che non deve spaventarci, in quanto “H. protegge gli sprovveduti” (coloro che non possono badare a un pericolo così remoto: Tehillim 116,6; Shabbat 129b).
Nelle prime due settimane di campagna vaccinale Israele ha immunizzato mezzo milione di persone: avremo così modo di individuarne gli effetti “di gregge” in tempi relativamente brevi. Mentre altrove si strilla ancora “Armiamoci e partite” lì, forse, hanno già vinto la guerra. Così ci auguriamo. H. yishmor we-ya’azor: “Che D. ci protegga e ci aiuti”!

Rav Alberto Moshe Somekh

(Nell’immagine la somministrazione del vaccino in Israele)

(31 dicembre 2020)