Nuove prospettive
e problemi aperti
A 65 anni esatti dall’emanazione della legge c.d. Terracini n. 96 del 10.3.1955 sulle provvidenze per i perseguitati politici antifascisti e razziali troppe erano, e sono ancora, le criticità presenti nel testo e troppi i problemi irrisolti e anche le difficoltà per chi ha diritto a vedersi concedere l’assegno vitalizio di benemerenza sia in sede applicativa, sia in sede giurisdizionale, allorché alle varie Corti dei Conti italiane è demandata la decisione sui ricorsi presentati dai cittadini ebrei cui è stata respinta la domanda per ottenere la benemerenza.
Non si dimentichi che la legge voluta dal Senatore Umberto Terracini era nata per i perseguitati politici dal fascismo e solo nell’ultima fase della sua preparazione, su impulso dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, era stato aggiunto un comma sul diritto, anche per chi aveva subìto le persecuzioni razziali, ad ottenere l’assegno vitalizio, al pari di chi era stato perseguitato per motivi politici dal regime fascista.
Sono susseguiti anni di confronti, discussioni e anche di battaglie all’interno della Commissione istituita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per riconoscere e far valere il diritto di chi aveva subito le conseguenze di una delle pagine peggiori della nostra storia di ottenere quel riconoscimento concreto, qualificato dalla legge come “benemerenza”.
La rappresentanza ebraica era stata ottenuta all’interno della Commissione interministeriale soltanto nel 1998, a seguito di una decisiva pronuncia della Corte Costituzionale, che aveva percepito l’assenza di rappresentanti dell’ebraismo italiano da quel consesso iniqua e soprattutto necessaria la sua presenza per i lavori stessi della Commissione, perché nessuno meglio di chi conosceva quella storia, per averla subita, poteva rappresentare i diritti degli ebrei italiani perseguitati, proprio perché “la legislazione antiebraica individua una comunità di minoranza, che colpisce con la ‘persecuzione dei diritti’, sulla quale si innesterà, poi la ‘persecuzione delle vite’ (così la sentenza n. 268 del ’98)”. Uno tra i maggiori problemi, che hanno costituito talvolta un ostacolo, talaltra un vero e proprio impedimento sfociato in diniego, è sempre stato quello di provare le persecuzioni e le discriminazioni subite, e questo perché la legge Terracini non concedeva il diritto agli ebrei italiani nati prima o durante le leggi razziste di ottenere la benemerenza solo per il fatto di essere nati ebrei, occorrendo provare, secondo l’interpretazione via via data alla legge, con documenti, testimonianze e atti notori, di aver subito le persecuzioni.
Tutto ciò era oltremodo difficile per chi, pur avendo dovuto nascondersi scappare e subire discriminazioni, non era più in grado di provare, a distanza di decenni, quanto gli era accaduto.
E soltanto dopo non pochi confronti sulle diversità di orientamenti applicativi all’interno della Commissione per le Provvidenze si era riusciti a portare i problemi irrisolti in sede politica, tanto che presso la Presidenza del Consiglio venne istituita nel 2002 una prima Commissione di Studio (di cui anche il sottoscritto ha fatto parte, in qualità di rappresentante dell’Unione delle Comunità in seno alla Commissione per le Provvidenze), con lo scopo di superare taluni punti critici della legge, in special modo quelli riguardanti le persecuzioni subite dagli ebrei italiani dopo l’8 settembre 1943.
Questo perché, in effetti, prima degli Indirizzi poi emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel luglio 2005 a conclusione dei lavori della prima Commissione di Studio, la Commissione per le Provvidenze prendeva in esame unicamente le persecuzioni subite dagli ebrei italiani dall’emanazione delle leggi razziali sino all’8 settembre ’43, e quindi essenzialmente quelle riguardanti l’esclusione dalla scuola e dal mondo del lavoro e la precettazione per i lavori forzati, ma non le emigrazioni all’estero, le fughe, i nascondigli nei conventi o in abitazioni di fortuna, che gli ebrei italiani dovettero affrontare, per sfuggire alle retate nazifasciste e alle deportazioni nei campi di sterminio.
Il lavoro della Commissione per le Provvidenze è proseguito in questi anni tenendo quindi conto degli Indirizzi emanati dalla Presidenza del Consiglio su situazioni su cui la legge 96/55 e le successive modifiche non avevano posto l’accento.
E le difficoltà gli ebrei italiani le riscontravano non solo in sede amministrativa, nell’iter successivo alla presentazione della domanda, ma anche allorché si trovavano a dover ricorrere, in caso di diniego alla loro domanda, alle Corti dei Conti territorialmente competenti, nelle quali sovente, specie in sede di gravame innanzi alla Corte dei Conti Centrale d’Appello, si è venuto a formare un orientamento assai restrittivo, tendente a negare il diritto alla benemerenza, pur dopo la sentenza fondamentale della Corte dei Conti a Sezioni Riunite n. 9 del 1998, che stabiliva, tra le altre cose, che le violenze dovevano intendersi anche e soprattutto sotto il profilo morale, in quanto costituenti privazione delle libertà fondamentali dell’uomo, e la sentenza n. 8 del 2003 che stabiliva che “le misure concrete di attuazione della normativa antiebraica (tra cui i provvedimenti di espulsione dalle scuole pubbliche) debbono ritenersi idonee a concretizzare una specifica azione lesiva proveniente dall’apparato statale e intesa a ledere la persona colpita nei suoi valori inviolabili”.
C’è voluta, per dipanare e tentare di risolvere situazioni critiche, una seconda Commissione di Studio istituita, su impulso dell’Unione delle Comunità Ebraiche e dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti, nuovamente presso la Presidenza del Consiglio, con l’obiettivo di mettere a fuoco molti problemi ancora irrisolti, tra cui, in primis, quello inerente alle difficoltà, e molto spesso all’impossibilità, di provare le persecuzioni subite in special modo dopo l’8 settembre 1943, essendo certamente meno disagevole provare l’esclusione dalla scuola pubblica o dal lavoro, prima di tale data.
Ora, l’emendamento approvato nella legge di bilancio 30.12.2020, se anche non copre tutti i problemi ancora aperti, viene dunque a chiarire una volta per tutte che il diritto all’assegno di benemerenza spetta a chi ha subito persecuzioni razziali dopo l’emanazione delle leggi del 1938, che, salvo prova contraria, si presumono per chi, nato ebreo, era in Italia, o all’estero per emigrazione forzata, dopo l’emanazione delle leggi razziste del 1938, senza necessità di atti o testimonianze idonee, nel caso di loro difficile o impossibile reperimento.
Nuove prospettive si aprono dunque per chi non ha potuto veder sinora riconosciuto il proprio diritto all’ottenimento della benemerenza, mentre restano sul tappeto ancora talune criticità e diversità di orientamenti, che si spera possano esser presto risolti, nella comune convinzione che chi ha subìto persecuzioni, restrizioni e discriminazioni a causa delle famigerate leggi razziste non debba più subire iniquità.
Giulio Disegni, Vicepresidente UCEI e membro della Commissione per le provvidenze ai perseguitati politici italiani antifascisti o razziali e loro familiari superstiti
(3 gennaio 2021)