Aperture e chiusure

Il punto più rilevante della Bolla Cum Nimis Absurdum, del 1555, che rinchiuse gli ebrei nei ghetti, letta dopo più di quattro secoli, riguarda il richiamo alla logica, laddove una religione che pretendeva di aver sostituito l’addotta ferocia dell’Antico Testamento con la longanimità del Nuovo, avrebbe condannato un popolo per ciò che i suoi avi avrebbero commesso un millennio e mezzo addietro. Viceversa, gli ebrei, i quali, come ogni essere umano, sono lungi dall’essere perfetti, malgrado le lunghissime vessazioni ed una prigionia terribile, non hanno mai serbato alcun rancore verso la Chiesa, con la quale desiderano intrattenere il miglior rapporto possibile, improntato a sincero affetto e comprensione. Se questo atteggiamento non risulta da alcuna parte, e se nessuno ha ritenuto di riflettere sul medesimo, se nessuno l’ha notato, è perché riesce naturale. Sarebbe bene, invece, tenerne conto, perché agli ebrei, nella Diaspora oppure in Israele, nulla è risparmiato, mentre gli ebrei, colmi come tutti e ciascuno di difetti e di peccati, non ricambiano mai il livore. Nemmeno quello di chi li accusa di essere chiusi e poco riflessivi; che gli inquisitori siano ebrei o meno, poi, cambia poco. Conta la sostanza, e la sostanza ci dice che il rancore non abita qui. Ne consegue che quando si chiede agli ebrei italiani, scolpendolo pure sul marmo, di essere aperti, si trascura di considerare che aperti lo sono già.

Emanuele Calò, giurista

(5 gennaio 2021)