Il coraggio di tre “Giusti”

Quando il 29 aprile 2018 a Cartosio, nell’alto Monferrato, io e mio marito Meir iniziammo da soli l’avventura di ricostruire le vicende della famiglia Ancona-Polacco durante la Shoah, rincorrendo orme di memorie sbiadite, protagonisti senza volto e salvatori senza nome, mai avremmo pensato di raggiungere in così poco tempo un tale obiettivo: il riconoscimento, da parte del Memoriale della Shoah Yad Vashem a Gerusalemme, di ben tre “Giusti tra le Nazioni“ – Angelo Moro, Enrico Giuseppe Badarello e Mafalda Bosio Badarello – fra i molti eroi protagonisti della straordinaria vicenda storica raccontata nel nostro romanzo Il Vescovo degli Ebrei – Storia di una famiglia ebraica durante la Shoah (puntoacapo editrice, ottobre 2019).
È stata una ricerca difficile, a volte infruttuosa, portata avanti con tenacia e perseveranza, un po’ di fortuna e molto aiuto dal Cielo, condotta per ricomporre il mosaico di una storia famigliare frammentata, in parte dimenticata e in parte non conosciuta in alcuni dei suoi risvolti. Siamo partiti da Acqui Terme per arrivare a Cartosio, Terzo e Ponzone proseguendo – seguendo tracce e indizi – alla volta di Ferrara, Padova, Genova, Milano, Treviglio, Cremona, Stresa, Roma, Città della Pieve, Rossano Calabro, Palermo e poi fino in Francia e Israele, alla ricerca di persone scomparse e non, che in questi luoghi erano passate e vi avevano vissuto, lasciando figli, nipoti e pronipoti. O semplicemente tracce di memoria.
E proprio in Francia – non lontano da Lione – nel 2019 fummo protagonisti di un fatto straordinario a casa Badarello: il ritrovamento, non certo casuale, di una vecchia foto in bianco e nero, uscita chissà come da un consunto scatolone in cui giaceva addormentata – fra mille altre – da oltre settant’anni. E ciò avveniva proprio quando mio marito Meir si trovava di fronte ai discendenti di coloro che avevano protetto e salvato suo padre Giorgio per ben due volte: dalla polmonite prima, e dalla furia nazista poi. A prima vista quella foto sembrava raffigurare un allegro quadretto famigliare, ma in realtà celava una sorpresa … Già, perché a fianco del capofamiglia Enrico Giuseppe e in mezzo a mamma Mafalda, a quattro dei loro sei figli e a nonno “Giupin” c’era proprio lui – Giorgio Polacco – sorridente e felice… Tutti in posa sull’aia della “Zapota”, la cascina a Terzo in cui i due GIUSTI Badarello protessero e nascosero Rav Adolfo Yehoshua ben Yehudà Ancona, Rabbino capo di Alessandria, Asti e Acqui; tre dei suoi figli con rispettive famiglie; il nipote Giorgio Polacco di Genova; Franca Ottolenghi di Torino con mamma e papà… E infine due sorelle della Comunità ebraica di Acqui.
Giorgio, uno dei figli Badarello oramai novantenne, ci raccontò che il giovane Polacco era restio a farsi fotografare, perché riteneva fosse molto pericoloso lasciare una traccia così evidente del suo passaggio alla “Zapota”. Ma papà Enrico Giuseppe aveva talmente insistito da convincerlo finalmente a farsi ritrarre al suo fianco dicendogli che – nel caso qualcuno avesse chiesto chi fosse quel giovane – avrebbe risposto che era un nipote venuto in visita.
E per fortuna nessuno vide mai la foto fino a quel fatidico giorno di settembre 2019…
Anche Angelo Moro, l’allora Podestà di Acqui, è stato riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”, perché fornì documenti falsi a Rav Ancona, a parte della sua famiglia e al nipote Giorgio Polacco, aiutandoli a salvarsi.
Grandi sono state l’emozione e l’incredulità del pronipote Giovanni Alessandro Moro e di sua madre nel venire a conoscenza che il nome del prozio resterà per sempre nella storia, scolpito su una pietra del Muro d’Onore allo Yad Vashem, unito a quelli dei coniugi Badarello in un unico straordinario destino di eroismo e di salvezza.
Il nipote Luigi Moro – papà di Giovanni Alessandro – aveva partecipato con entusiasmo alla presentazione del progetto a Cartosio nel 2018 e attendeva con trepidazione l’esito dell’istanza allo Yad Vashem. Purtroppo non potrà assistere alla cerimonia che riconoscerà zio Angelo “Giusto tra le Nazioni” in quanto ha lasciato improvvisamente questo mondo nel maggio 2019.
L’attenzione sulla nostra storia famigliare ha poi prodotto altri due grandi risultati: in occasione della Giornata della Memoria 2018 è stata posata una pietra d’inciampo davanti al portone della Sinagoga di Acqui Terme in ricordo di Roberto Davide, uno dei figli di Rav Ancona, sterminato ad Auschwitz nell’agosto 1944.
E il 23 gennaio 2020 sono state apposte tre pietre d’inciampo in via Prati 7 a Padova, davanti alla casa in cui abitavano Giulio Ancona, fratello del Rabbino, la moglie Ada Levi Ancona e la figlia Irma, anch’essi morti ad Auschwitz.
E che succederà dopo cerimonie, incontri, articoli e interviste che sicuramente verranno richieste? Si spegneranno i riflettori su questa straordinaria pagina di storia? Così non sia…
Perché questa vicenda emersa forse un po’ troppo tardi, con i suoi risvolti sconosciuti, i suoi vivi e i suoi morti rappresenta in fondo la storia di molti di noi… Noi che per lungo tempo abbiamo tentato di dimenticare, per il troppo dolore o per la paura di risvegliare fantasmi, noi che forse non abbiamo raccontato ai nostri figli, ai nostri nipoti, o abbiamo mantenuto privata la nostra storia famigliare di salvezza. E ci siamo opposti alla sua divulgazione…
Ora però è giunto il tempo di riparare e dare spazio alla Memoria.
È proprio in questi momenti drammatici, in una società distratta, confusa e nichilista che sembra aver perso etica e valori, in cui le giovani generazioni spesso emulano esempi discutibili e sbagliati, che diventa imperativo trasferire e divulgare la memoria di gesti semplici ma eroici, quella “normalità del bene” da cui giovani e meno giovani possano trarre esempio per migliorare la nostra società in crisi.
Noi che siamo vivi grazie al gesto disinteressato di tanti uomini e donne rimasti nell’ombra e nel silenzio, abbiamo il dovere di dare loro finalmente voce e visibilità, dissotterrando dall’oblio – se ancora non lo abbiamo fatto – documenti, fotografie, memorie, appunti e testimonianze da sottoporre alla Commissione dei Giusti dello Yad Vashem per altri riconoscimenti, altre onorificenze…
Perché sempre più nomi di eroi italiani ancora senza volto e senza voce restino scolpiti per l’eternità sulle pietre di Gerusalemme, nella storia e nella Memoria collettiva… Perché questi nobili esempi diventino il faro e l’orgoglio di molti giovani e l’albero di altre famiglie ebraiche porti finalmente i suoi frutti.

(Nelle immagini, dall’alto in basso, i tre “Giusti” Enrico Badarello, Angelo Moro e Mafalda Bosio Badarello)

Paola Fargion

(7 gennaio 2020)