Lenticchie

È all’inizio della parashà di Toledoth che troviamo il famoso episodio della cessione della primogenitura di Esaù a Giacobbe in cambio di un piatto di lenticchie. Scambio che è divenuto proverbiale simbolo del prezzo di un baratto in cui si scambiano principi morali con cose materiali di infimo valore e anche di un baratto di una cosa da poco in cambio di un grande vantaggio.
E qui si pongono due quesiti, qual era il pregio delle lenticchie così elevato da da indurre Esaù al baratto? E poi in cosa consisteva e perché esisteva il diritto di “primogenitura” ? Diciamo subito che Giacobbe doveva essere un esperto “manipolatore” (in senso positivo), cioè sapeva lavorare i materiali che toccava rendendoli pregiati. Vedremo più tardi che riusciva con successo a moltiplicare le greggi di Labano (suo suocero) inducendole a produrre molti agnelli di qualità. Evidentemente anche in cucina padroneggiava la tecnologia culinaria. Le lenticchie sono un legume che, oltre ad essere così nutritivo da divenire simbolo di ricchezza, è sapido e di gusto gradevole. Il suo nome botanico, Lens culinaria, ne sottolinea le doti.
La lenticchia è stata probabilmente una tra le prime specie ad essere domesticata: secondo Zohary, famoso botanico dell’Università di Gerusalemme, la sua coltivazione nell’area della Mezzaluna Fertile risalirebbe infatti ad oltre 10.000 anni fa; la sua diffusione riguardò inizialmente l’area mediterranea, l’Asia centrale e le pianure indo-gangetiche. Oggi è coltivata in tutte le regioni del mondo ed è apprezzata dai consumatori in virtù delle sue caratteristiche sensoriali, del ridotto tempo necessario per la cottura in confronto ad altri legumi e per il suo alto valore nutrizionale. Relativamente a quest’ultimo aspetto, i nutrizionisti considerano le lenticchie una eccellente fonte di proteine, carboidrati complessi, fibre, vitamine A e B, potassio e ferro, mentre valutano positivamente il loro basso contenuto in sodio ed in grassi. Da un punto di vista agronomico, la specie appare particolarmente interessante per la capacità di fissare nel terreno l’azoto atmosferico sostituendo la concimazione azotata. L’azoto infatti è un elemento molto importante per tutti i viventi perché è il componente principale delle proteine. Ma l’approvvigionamento di azoto è assai problematico. Ogni categoria di viventi ha i propri metodi particolari per acquisire questo atomo, che paradossalmente è tra i più diffusi in questo mondo manche tra i più difficili da acquisire: il 78% dell’ aria che respiriamo è costituita da azoto. Ma la espiriamo senza riuscire a trasformarla in proteine. E come noi una gran parte (se non addirittura la maggioranza) degli esseri viventi viene a contatto con l’azoto atmosferico, ma non riesce ad utilizzarlo direttamente per sintetizzare le proteine di cui ha bisogno per vivere. È soltanto grazie a diverse specie di batteri (Azotobacter) che l’azoto dell’ aria viene trasformato in molecole più complesse che le piante riescono ad assorbire e soprattutto ad utilizzare. La resa però è limitate e le piante che vivono in questi terreni hanno una vita che spesso è stentata. Ma c’è un tipo di piante che da questo punto di vista sono preziose. La famiglia delle Leguminosae è capace di ospitare sulle proprie radici batteri dotati della capacità di trasformare l’azoto atmosferico in molecole azotate complesse adatte all’assorbimento da parte delle piante. Questi batteri si installano nelle radici dove compaiono particolari tubercoli frutto della reazione a punture dei batteri stessi (Rhyzobium) alle radici. Si instaura così una simbiosi particolarmente conveniente per entrambi gli attori: i batteri assorbono dalla pianta gli zuccheri derivati dalla fotosintesi clorofilliana, mentre i batteri cedono alla pianta l’azoto (proveniente dall’atmosfera) trasformato in molecole utilizzabili dal metabolismo della pianta. Vantaggi reciprochi. Ma questo meccanismo non è comune a tutte le piante: soltanto le piante della famiglia delle Leguminosae sono appetite dai batteri sopraricordati. I risultati di questa simbiosi sono molteplici e tutti positivi. Le piante di questa famiglia danno frutti ricchi di aminoacidi che sono i “mattoni” per la sintesi delle proteine necessarie alla vita di tutti gli esseri viventi e lasciano nel terreno importanti quantità di azoto organico utilizzabile dalle colture successive. Tradotto: si tratta di piante ricche di nutrienti preziosi nei loro frutti e che, per di più invece che impoverire il terreno dove crescono lo arricchiscono per la coltura successiva. Piselli, Fave, Fagioli, oltre alle Lenticchie e numerose altre specie appartengono a questa famiglia e presentano queste caratteristiche pregiate.
Oggi abbiamo scoperto tutto il complesso meccanismo, ma è probabile (ed appare chiaro dal testo biblico) che i nostri antenati ne fossero già consci.
Ma questo è soltanto metà del discorso: perché Giacobbe contendeva la primogenitura al gemello Esaù? Il discorso è complesso, ma val la pena di approfondirlo. I Patriarchi vivono in un periodo di transizione tecnologica: Abramo e Isacco e Giacobbe erano pastori e basta. Abramo scava pozzi a Beer Sheva (nome che significa anche 7 pozzi). E tutti sono impegnati nell’allevamento soprattutto dei mammiferi minori (capre e pecore). Il lavoro era duro e la crescita era lenta, condizionata dalla lunghezza dei cicli riproduttivi degli animali. Occorrerà arrivare a Giuseppe per trovare un agricoltore che presti attenzione alla coltivazione della terra e non soltanto allo sfruttamento del pascolo. In queste condizioni la suddivisione dell’ “azienda” in tante parti quanti erano gli eredi avrebbe distrutto il lavoro di una generazione. Raggiunta una dimensione nella quale si possano cominciare a realizzare economie di scala, la parcellizzazione degli strumenti produttivi (in seguito alla suddivisione tra numerosi eredi) avrebbe bloccato l’evoluzione “aziendale” e riportato l’azienda a livelli primitivi, addirittura a quelli di una o due generazioni prima. Evidentemente nella Torah c’era coscienza di questo problema e si accettava il privilegio del primogenito (umanamente ingiusto, ma economicamente necessario) probabilmente perché essendo il più anziano si poteva sperare avesse maggiore esperienza dei fratelli e potesse continuare ad ingrandire l’”azienda” del padre, mantenendo negli anni la potenza economica della famiglia, a vantaggio di tutti i suoi componenti
Il diritto di maggiorasco, cioè di privilegiare l’eredità di un solo discendente, solitamente il primogenito, si ritrova nel diritto di altri paesi, di culture diverse ed è sopravvissuto, in forme e nomi diversi fino ai giorni nostri. Il “maso chiuso” è vigente ancor oggi in Alto Adige. In altre parti d’Europa scomparve gradualmente solo verso la fine del ‘700 e con il Codice Napoleone agli inizi dell’ ‘800. Questo istituto del diritto valeva anche per il titolo nobiliare connesso con i terreni. Da notare che l’erede privilegiato poteva (e doveva) coltivare ed utilizzare i terreni ricevuti, ma non poteva venderli, ma doveva trasmetterli integri al suo erede primogenito.
Ovviamente Marx criticò questo istituto protrattosi fino al XIX secolo e con la fine del secolo e col trascorrere del XX secolo l’istituto subì forti limitazioni, fino a scomparire quasi completamente. Probabilmente l’abbandono di questo criterio ereditario fu favorito anche dalla diminuzione dell’importanza economica dell’agricoltura rispetto allo sviluppo e soprattutto alla capacità di creare ricchezza, della nascente industria. Finché la “forza motrice” era data soltanto dal fluire delle acque nel letto dei fiumi la ricchezza (ma anche la sola sopravvivenza) derivava unicamente dalla capacità della terra di produrre alimenti e poche altre derrate. Ma quando comparve il vapore come forza motrice, seguito dal petrolio e dall’energia elettrica, la ricchezza derivò da quanto si poteva produrre con queste energie nuove: la terra e l’agricoltura restarono importanti, ma il peso relativo diminuì.
Non è questa la sede per fare un’analisi di questo istituto di diritto successorio, per di più in contesti diversi, che si sono succeduti nei diversi Stati del mondo ed in epoche diverse, ma dobbiamo notare che la Torah apparentemente lo accetta, anche se l’accettazione della superiorità di Giacobbe su Esaù è probabilmente un modo implicito per criticarne l’iniquità. Non si spiegherebbe infatti l’acquiescenza della Torah e l’implicito consenso (senza alcuna critica) ai trucchi di Giacobbe per acquisire la primogenitura e dar vita al Popolo Ebraico.

Roberto Jona, agronomo