I segnali del cambiamento

Credo che ci troviamo davanti a forme nuove di antisemitismo, che come tante cose intorno a noi anche l’ostilità antiebraica stia mutando natura. O forse, più che mutando del tutto natura, ricostituendo in modo nuovo e con diverse priorità il linguaggio antisemita e forse anche la sua pratica. Guardiamo le due foto dell’insurrezione del 6 gennaio a Washington, quelle con il tizio con la maglietta con la scritta Camp of Auschwitz e l’altra con quello con la sigla “6 milioni non sono bastati”. Guardiamoci bene dal considerarli folklore, come non sono foklore le bandiere confederate e l’ostentato rifiuto della mascherina, l’accusa a Soros e ai “pedofili”, le suggestioni di un cristianesimo evangelico fondamentalista che nulla ha da invidiare ai fondamentalisti islamici, il suprematismo bianco. Non sono folklore, sono una saldatura, pezzi diversi che si incastrano fino a determinare non tanto e non solo un’ideologia, ma soprattutto una mutazione antropologica. Una mutazione che piace, affascina, consente a chiunque di interpretare il mondo a modo suo, senza strumenti per farlo. Di questo incastro, basato fondamentalmente sul complottismo, l’antisemitismo fa parte a pieno titolo. Ma per capire fino in fondo con cosa abbiamo a che fare, non possiamo guardare solo all’antisemitismo, dobbiamo comprenderne i nessi con la parte restante: il mito del Ku Klux Klan, l’idea, basilare del negazionismo, che la verità non esista, che tutto sia e debba essere menzogna. E dietro, l’ombra di quel Bannon che è un seguace di quell’Evola che sotto il fascismo portò in Italia I protocolli dei Savi di Sion. Dobbiamo fare attenzione e cercare di contrastare questo fenomeno globalmente. Cogliamo fin da subito i segnali del cambiamento. E ricordiamoci cosa è stato quando non lo abbiamo fatto, ottantadue anni fa.

Anna Foa

(11 gennaio 2021)