L’impegno ebraico
per il Mondo
Sono rimasti largamente inascoltati gli appelli dell’Armenia a Israele a sostenere una causa giusta lasciando da parte gli interessi strategici e commerciali; sorte simile sembra stia toccando ai richiami provenienti dall’interno a schierarsi contro il genocidio degli Uiguri: le voci di rav Mirvis, rabbino capo della Gran Bretagna, e prima di lui di rav Sacks z”l sono finora state accompagnate da poche altre prese di posizione pubblica. Sono solo due esempi di un problema che periodicamente si riaffaccia sia per l’ebraismo mondiale in generale sia per lo Stato di Israele in particolare. Un paio di anni fa era stato rav Cherlow, fra i leader dei rabbini sionisti, a formalizzare la richiesta di sospendere le forniture di armi ai paesi che violano i diritti umani (riprendendo con ciò il divieto già formulato dai nostri Maestri nel Talmud, v. TB Avodà Zarà 16a). Spingendoci più indietro, rav Elyashiv z”l aveva proibito già nel 2007 di sottoporsi a trapianto di organi di provenienza cinese a causa del sospetto che quegli organi fossero espiantati a prigionieri politici. L’elenco potrebbe essere ancora lungo. Le voci che si levano ci sono, sono anche molto autorevoli. Ma finiscono per infrangersi contro un muro di indifferenza o di scetticismo. Mi sembra di poter riassumere in due punti le obiezioni più forti: 1. Non possiamo noi farci carico di tutti i problemi del mondo; 2. Se trasformiamo il nostro impegno ebraico, usando tutte le nostre energie per impegni “universalistici”, finiamo per sfigurare l’ebraismo svuotandolo delle sue peculiarità e rinunciamo a iniziative che sono invece più direttamente necessarie a noi stessi. Entrambe le obiezioni meritano di essere considerate. Certo, il senso della misura non deve mai venir meno, così come non deve venire a mancare il distinguo fra ciò che è nostro “particolare” e ciò che è “universale”. Tuttavia mi sembra che tali obiezioni vadano superate: 1. Chiaramente non possiamo farci carico di tutti i problemi. Ma possiamo certamente non rimanere indifferenti a quelli che ci passano sotto gli occhi o a maggior ragione a quelli a proposito dei quali un intervento ci viene esplicitamente richiesto; 2. Qui si tratta di riformulare l’obiezione trasformandola in una risposta: l’impegno ebraico impone come tale, e senza nulla togliere alla sua specificità e ai suoi 613 precetti, l’attenzione a problemi che riguardano l’umanità tutta. L’intervento a favore di una causa che non riguarda gli ebrei è un intervento che scaturisce, prima ancora che da quella stessa umanità che pretendiamo da tutti, dalle nostre stesse fonti e dall’intimo del nostro credo.
Rav Michael Ascoli
(11 gennaio 2021)