Il limite da non superare

Non mi è mai piaciuto infierire sui perdenti, sugli sconfitti.
Se avesse continuato, imperterrito, a incitare i suoi fedelissimi a sollevarsi contro il sistema corrotto, a ribellarsi contro il furto delle elezioni e a riprendersi il potere rubato, sfasciando le vetrine, indossando terribili elmi vichinghi, posando gli stivali sulle scrivanie dei potenti e ammazzando qualche poliziotto di sinistra, oggi, probabilmente, “the Donald”, pur inseguito dalla polizia, o dalla neurodeliri, conterebbe ancora sul sostegno di milioni di seguaci (tra “proud boys”, QAnon, neonazi, no-vax, Ku-Klux-Klan, suprematisti, complottisti vari e cose del genere). Sarebbe stato sconfitto, certo, ma sarebbe rimasto, per una cospicua minoranza, un idolo, quell’eroe senza macchia e senza paura in cui tanti avevano creduto. Ma il nostro non se l’è sentita, e ha fatto la retromarcia più goffa e patetica della storia. “Siamo il partito della legge e dell’ordine, non ho mai detto di violare le regole, non sono stato capito, Biden è il legittimo Presidente, i responsabili dei disordini saranno puniti ecc.”.
Certo, come no.
Quattro anni fa il nostro disse, testualmente: “Potrei sparare a un uomo sulla Quinta Avenue, e non perderei un solo voto”. Forse era un’esagerazione, ma conteneva certamente una buona dose di verità, perché è evidente che un fattore importante del suo successo è sempre stata proprio l’iperbole, l’eccesso, l’assoluta mancanza di limite. Questo piaceva. Un ego smisurato, una megalomania che neanche tutti i faraoni e gli imperatori messi insieme avrebbero mai raggiunto. Ma si è visto a cosa ha portato tutto questo. Il castello di carta è crollato, e, se si votasse oggi, probabilmente il Presidente prenderebbe solo il proprio voto, con lo sciamano con le corna che, dal carcere, lo maledice, la figlia Ivanka, l’erede designata, che ha visto svanire, nello spazio di non più di un’ora, un futuro luminoso (tipo quello di Marine Le Pen), i capi repubblicani che lo vogliono sotto processo, molti stretti collaboratori che dicono di non averlo mai conosciuto, le truppe dei vari Bannon, Giuliani e Luttwack costrette alla faticosa ricerca di un nuovo uomo del destino (anzi, compito ancora più difficile, alla definizione di quale debba essere il profilo del futuro uomo del destino: simile a Trump, ma più determinato? O il suo esatto contrario? Tempi felici per indovini, sondaggisti, guru e psicologi delle masse…).
“Parcere subiectis”, dunque. E non dimenticherò i concreti passi di Trump in difesa di Israele (anche se pure questo suo atteggiamento, è da dire, è stato effettuato in modo molto divisivo, basti ricordare le inquietanti accuse di slealtà rivolte agli ebrei americani responsabili di votare democratico). Credo che l’esito della sua parabola debba soprattutto indurre a riflettere su cosa significhi, per chi occupi posizioni di responsabilità, l’evocata assenza di limite. Non è certo la prima volta, nella storia, e neanche nella storia delle democrazie, che un personaggio mostra, come si dice, di essersi montato la testa, e di avere così perso ogni senso del limite. Non faccio esempi, perché potrebbero sembrare fuorvianti, ma è evidente che la lista degli “illimitati” è molto lunga. Alla maggioranza di loro, alla fine, è andata male, ma non proprio a tutti. Eppure, la democrazia non è altro che un insieme di limiti. Credo che sia una grave responsabilità di tutti coloro che hanno sottovalutato l’irresponsabilità di Trump – a cominciare da me – quella di non avere riflettuto sul suo porsi, fin dall’inizio, come uomo “illimitato”. È normale che chi disprezza la democrazia, come sistema di limiti, lo abbia ammirato, perché lui, in quanto “illimitato” democraticamente eletto, rappresentava un formidabile suicidio “democratico”, dall’interno, della stessa democrazia. Ma chiunque riteneva di avere ancora a cuore quel ferrovecchio chiamato “democrazia”, e non ha capito quanto stava succedendo, ha sbagliato, come me.
In alcuni monasteri del Medio Evo ogni notte un monaco era mandato a girare per i corridoi, sussurrando ai monaci dormienti, a intervalli regolari, un “memento mori”: “ricordati che devi morire”. Usanza oggetto di raffinata ironia in un famoso film del grande Massimo Troisi. Ma quei monaci non erano stupidi. Avevano capito che è necessario ricordare agli uomini che hanno un limite, evidentemente perché tendono a dimenticarlo. Facevano bene.

Francesco Lucrezi

(13 gennaio 2021)