La libertà

Viviamo in un periodo in cui si parla molto di libertà, e spesso a sproposito. La diffusione del Covid-19 ha molto contribuito alla diffusione della richiesta di libertà. Si invoca la libertà di non vaccinarsi, la libertà di contagiare e di contagiarsi, non osservando le regole e i divieti posti a tutela della pubblica salute. Si invoca, più in generale, la libertà di diffondere attraverso i social media fake news di ogni genere. Per ultimo si invoca il principio di libertà a proposito del rifiuto di Facebook, di Twitter e di altri social media di diffondere i messaggi di Donald Trump dopo il tentativo di insurrezione e l’invasione di Capitol Hill da parte dei suoi sostenitori in conseguenza di una sua precisa istigazione.
Il dibattito sulla libertà e sui suoi limiti ha attraversato tutta l’età moderna già a partire dall’età del Rinascimento e soprattutto a partire dall’età dell’Illuminismo. Ci sono stati momenti in cui si è sostenuta l’esigenza di una libertà senza limiti e altri della necessità di una tale restrizione da vanificare il senso stesso della parola o addirittura della negazione stessa del principio di libertà. Anche se non sono mancati dibattiti di natura filosofica o anche religiosa intorno al principio di libertà, è evidente che queste forti oscillazioni intorno ai limiti di applicazione del principio di libertà sono state connesse alle diverse modalità storiche di applicazione del principio stesso: nelle società dove vigeva un potere di tipo assolutistico si richiedeva una libertà altrettanto assoluta; quando l’applicazione di un principio assoluto di libertà ha portato a disordini e a crisi sociali violente si è cercato di fissare delle regole all’applicazione del principio. Abbiamo visto tali oscillazioni in occasione delle crisi rivoluzionarie che hanno caratterizzato l’Europa tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XX; si sono poi affermate dottrine che hanno attraversato larga parte del XX secolo, che negavano in linea di principio l’idea stessa di libertà.
La sconfitta di queste tesi estreme, cioè la sconfitta di quei sistemi totalitari che si basavano sulla negazione totale del principio di libertà, ha condotto all’affermazione di una più matura concezione che ha connesso indissolubilmente il principio di libertà a quello di responsabilità. Questa connessione è affermata in tutte le Costituzioni dei Paesi liberi del nostro tempo e anche nella Costituzione italiana. Infatti, già all’art. 1, dopo aver detto che l’Italia è una repubblica democratica, affermando così il principio di libertà, nell’aggiungere che la sovranità appartiene al popolo precisa che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Si pongono cioè dei limiti al principio assoluto della libertà, limiti che consistono appunto nell’applicazione del principio di responsabilità, messo in opera dagli organi costituzionali dello Stato.
Questi richiami di carattere teorico e storico sono necessari per affrontare il tema dei limiti posti alla libertà di espressione, con preciso ed esplicito riferimento al blocco posto da Facebook, da Twitter e da altri social media alle esternazioni pubbliche di Donald Trump. Capisco benissimo le reazioni di chi, partendo da solidi principi liberali, non si sente di condividere questa limitazione della libertà. Ma se si riflette un momento ci si rende conto che limitazioni di questo tipo sono previste da tutti gli ordinamenti giuridici. Non solo non è consentita la diffamazione ma nell’ordinamento italiano è punita la diffusione di notizie false o tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico e affermazioni simili sono presenti anche negli ordinamenti di altri Paesi. Non solo, ma è previsto anche il caso della limitazione della libertà, anche fisica, di una persona che abbia commesso un reato nel caso in cui ci sia il pericolo che questi possa reiterare il reato stesso.
Nel caso di Donald Trump non solo è evidente che egli ha usato i social media per diffondere notizie false sull’esito delle elezioni del 3 novembre affermando reiteratamente e senza prove che esse erano state fraudolente, ma l’ha fatto al fine di provocare un clima insurrezionale che ha portato all’invasione di Capitol Hill da parte dei suoi sostenitori. È altrettanto evidente che la sua intenzione sarebbe quella di continuare a usare i social media per ripetere le stesse tesi che hanno portato ai gravissimi fatti del 6 gennaio. E’ evidente cioè la sua volontà di continuare a usare i social media per commettere un reato, e un reato gravissimo, di ordine costituzionale. È perciò pienamente legittimo che i proprietari dei social media si rifiutino di collaborare e, al limite, di rendersi complici nel commettere tale reato.
C’è una sola obiezione possibile a questa tesi: che essendo la libertà di espressione garantita dalla Costituzione americana dovrebbe essere un organo pubblico, cioè un tribunale munito di tale potere, a limitare a Trump l’esercizio temporaneo di tale diritto.
Questa obiezione mette in evidenza ancora una volta la situazione di disordine e di mancanza di regole certe che caratterizza il mondo del web e in particolare quello dei social media. Una mancanza di regole voluta dagli stessi proprietari dei social media e invocata da molti come suprema espressione di libertà e che rivela adesso tutta la sua pericolosità e la sua insostenibilità. In ogni caso, in attesa di una necessaria e non più rinviabile regolamentazione internazionale del web, nel caso specifico resta valida la scelta dei proprietari dei social media di non volersi rendere corresponsabili della reiterazione di un reato e quindi è pienamente legittima la loro scelta di non continuare a mantenere a Donald Trump la possibilità di uso dei social media stessi.

Valentino Baldacci