Crisi politica e di sistema
La conclusione della crisi politica aperta con le dimissioni delle ministre di Italia Viva non può nascondere che essa segna un nuovo passo verso una crisi complessiva del sistema politico. E’ vero che il sistema politico italiano appare simile a quei malati che sembrano costantemente sull’orlo di una crisi irreversibile e che poi, in un modo o nell’altro, riescono sempre a venirne fuori; ma, per restare in questa specie di metafora, si tratta pur sempre di una vita grama e sempre a un passo della catastrofe.
I termini di tale crisi sono ormai così chiari a tutti – compresi gli stessi protagonisti – che ci si sente a disagio nel doverli ripetere ancora una volta. In sintesi, il sistema politico italiano, se messo a confronto con quelli dei maggiori Paesi democratici dell’Occidente, non appare capace di esprimere una forma di governo stabile ed efficace. Qualunque maggioranza parlamentare, trascorso più o meno un anno dalla sua formazione, non riesce a consolidarsi ed entra in difficoltà. Si può volta per volta indicare questo o quel motivo per l’apertura della crisi, si può incolpare questo o l’altro politico, ma la sostanza non cambia: il sistema non riesce ad assolvere all’altro fondamentale suo compito, oltre a quello di rappresentare gli indirizzi politici presenti nel Paese: quello di consentire la formazione di un governo stabile in grado di governare il Paese per il periodo indicato dalla Costituzione, cioè per la durata di una legislatura. E la funzione di governo – vien quasi da arrossire doverlo ricordare – è altrettanto importante di quella parlamentare.
In maniera ancor più evidente che in altre occasioni è apparso chiaro a che livello sia giunta la crisi del parlamentarismo italiano. Tutto ciò che è avvenuto in questa legislatura è estraneo a un corretto funzionamento di un sistema parlamentare: dalla formazione di un governo di coalizione tra forze politiche sostanzialmente in disaccordo su tutto ma unite solo dalla volontà di governare sulla base di un cosiddetto “contratto” di natura privatistica alla crisi di questo governo per ragioni che sono apparse tutt’altro che chiare; ancor più: dalla formazione di un secondo governo diretto dallo stesso Presidente del Consiglio del primo con la partecipazione determinante di uno dei componenti del precedente governo e del maggior partito di opposizione fino all’apertura di una nuova crisi, dopo poco più di un anno dalla sua formazione.
Ma è con quello che è avvenuto durante la crisi che si è toccato il fondo, almeno fino alla volta prossima, quando si troverà il modo di scendere ancora più in basso. E il fondo si sostanzia in due aspetti: il primo è che si cerca di formare una nuova maggioranza – senza nemmeno passare dall’apertura formale della crisi e dalla formazione di un nuovo governo – non con l’aggregazione di un nuovo partito ma con la raccolta di parlamentari provenienti dalle più diverse formazioni politiche, alimentando così legittimi sospetti di operazioni sottobanco che già in altre occasioni erano state bollate con gli aggettivi più infamanti e che adesso vengono coperte sotto il manto della “responsabilità”.
Il secondo – di cui non si parla apertamente ma che pone anch’esso seri problemi – è costituito dal voto dei senatori a vita. Deve essere chiaro che il problema non è costituito da queste cinque persone che “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Una volta nominate, in base all’art. 59 della Costituzione il loro voto ha lo stesso valore dei senatori eletti. Ma non c’è chi non veda come vi sia una sostanziale trasformazione del loro ruolo, da una funzione volta ad arricchire ed elevare il livello culturale del Senato all’assunzione di un compito decisivo nella determinazione della maggioranza parlamentare, quasi con la formazione di un nuovo gruppo parlamentare, quello dei senatori a vita.
Spero sia chiaro che quello che ho detto non è dettato dall’avversione verso una parte politica o dal favore verso un’altra. Già altre volte, anche su “Moked”, ho cercato di mettere in evidenza come il sistema parlamentare puro porti, almeno in Italia, alle conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. Sono osservazioni che provengono anche da molti autorevoli costituzionalisti. Ma non sembra che l’attuale classe politica, di qualunque indirizzo, ne sia molto toccata. Hanno altro da fare, hanno da fare i conti con la calcolatrice se in Senato ci sarà un voto in più o in meno per raggiungere la maggioranza.
Che un altro Paese che ci è caro – Israele – attraversi una crisi di sistema politico in parte simile a quella italiana non è certo di consolazione. Mette solamente in evidenza che non è sufficiente che un Paese sia ricco di capacità creative, che riesca a competere da pari a pari con i maggiori Paesi del mondo. Se il suo sistema politico non è all’altezza del suo sistema produttivo, prima o poi il prezzo di questa contraddizione si farà sentire.
Valentino Baldacci
(21 gennaio 2021)