La mitzvà del racconto

Per tutti gli ebrei romani e per chi ha avuto l’onore di conoscerlo sono ore di grande lutto: il caro Morè (così amava essere chiamato) Vittorio Haim Della Rocca ci ha lasciati. Sta ormai dirigendosi verso la sua dimora definitiva e il mio cuore è affranto nel non poterlo salutare per l’ultima volta e per non poter essere vicino a Roberto, amico di sempre, e a Jonatan, i suoi figli. Il Morè Della Rocca era conosciuto, amato, stimato nel mondo rabbinico, ma soprattutto dalla “sua” Comunità ebraica di Roma, delle cui origini era fiero e orgoglioso.
Appena iniziato il Collegio Rabbinico – avevo fatto da poco il bar mitzvà – iniziai a studiare, insieme ad altri compagni di classe, il libro di Shemòt con lui: era il nostro primo Maestro della scuola rabbinica.
La sua materia “forte” era insegnare la Torà e battersi per i valori che essa ci indica: l’amore per il prossimo e l’osservanza delle mitzvot, che ci rendono liberi.
L’educazione dei giovani era nel suo cuore, come trasmettere loro una forte identità ebraica da portare avanti per le generazioni future.
Una delle prime cose che ho imparato da lui e che si trova scritta nella nostra parashà – Bo – è la mitzvà di narrare ai giovani le nostre origini:
“Vehiggadtà le vinkhà bajom ha hu – e lo narrerai a tui figlio in quel giorno” (Shemòt 13; 8)
La mitzvà di raccontare alle nuove generazioni quello che fu il passato – in quel giorno – ossia, quando sarai libero e benestante. Infatti si è liberi quando si ha il coraggio di prendere atto di cosa si era nel passato. I nostri padri furono schiavi in Egitto e noi ora che siamo liberi, ricchi e benestanti abbiamo il dovere di ricordarci cosa eravamo; senza vergogna. A volte sembrerebbe più facile mostrare chi siamo ora, rispetto a render noto chi eravamo una volta. La mitzvà dell’ebreo è invece quella di ricordare la condizione di sofferenza trascorsa, per poter fare del bene a chi soffre, accettarlo e mai metterlo in difficoltà.
Soltanto chi ha sofferto è in grado di aiutare chi soffre e ha bisogno di un aiuto, anche soltanto morale.
Grazie caro Morè per tutto ciò che mi hai insegnato.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna

(22 gennaio 2021)