La Tunisia e gli ebrei

In un video circolato su internet il presidente della Repubblica tunisina Kais Saied incontra alcuni cittadini della cité di Mnihla, un sobborgo popolare della banlieue di Tunisi. Durante un confusionario passaggio del discorso, parlando delle recenti proteste giovanili scoppiate nel paese, sembra attribuire agli ebrei la responsabilità e la stessa partecipazione ai disordini. La polemica è scoppiata su alcuni canali tunisini, ed è poi stata ripresa e commentata anche in ambito ebraico.
Nella giornata di ieri, lo stesso Saied a nome della Presidenza della Repubblica ha scritto un comunicato ufficiale sostenendo di non aver mai parlato di “alcuna religione” durante il discorso, è che il tutto non sia stato altro che il malevolo prodotto di fake news e “specialisti della menzogna”. Ha poi contattato telefonicamente il rabbino capo della Tunisia, Haim Bittan, ribadendo che “gli ebrei sono nostri concittadini a pieno titolo”. Nel comunicato, Saied ha comunque chiarito di distinguere l’ebraismo dal sionismo. Certamente una precisazione non richiesta.
Gran parte degli internauti tunisini hanno comunque difeso il presidente e le sue parole negando il riferimento agli ebrei e sostenendo altresì l’amicizia con i loro concittadini. Qualcuno nell’occasione ha anche ricordato la vicenda che la famiglia di Saied protesse dai nazisti la giovane militante femminista Gisèle Halimi. Le parole del video, anche secondo molti ebrei tunisini, non sono comunque facilmente decifrabili a causa soprattutto dell’uso quasi inedito da parte del presidente del darija – il dialetto arabo tunisino, la lingua quotidiana e reale del paese che a differenza dell’arabo standard e colto non gode di nessun riconoscimento ufficiale -, il dubbio è dovuto dalla parola “hal yahoune”, ovvero ‘è ragionevole’ che suona simile a ‘gli ebrei’, “el yahoud”. Essendo il darija tunisino, come quello dei paesi limitrofi, una lingua puramente colloquiale, la quale non dispone neppure di un moderno vocabolario e dove le parole a seconda delle zone possono essere pronunciate e scritte in infiniti modi, probabilmente non sapremo mai la realtà dei fatti. A questo per puro interesse storico-linguistico sarebbe da aggiungere che gli unici che dettero al darija maghrebino uno status di lingua furono in parte i colonialisti francesi per contrastare il panarabismo, e soprattutto gli ebrei. Nel secolo scorso gli ebrei tradussero importanti capolavori della letteratura europea, scrivevano opere, e fondarono giornali (anche sionisti) in dialetto giudeo-tunisino il quale non differisce granché da quello parlato dai musulmani. Oggi ciò sarebbe quasi impensabile, poiché solo il francese e l’arabo standard nel Maghreb avrebbero una “dignità linguistica”, ma su questo magari torneremo meglio un’altra volta. Più controversa è invece la precisazione operata dal presidente sulla distinzione tra “ebraismo e sionismo”. Una prassi questa molto consueta nella retorica e nel discorso politico dei paesi arabi, ovvero gli ebrei sarebbero ben voluti, basta che però prendano le distanze da Israele. Un controsenso questo se si pensa che la metà della diaspora ebraico-tunisina è emigrata in Israele, come israelo-tunisini non mancano tra coloro che ogni anno durante Lag b’omer si recano in Tunisia per la ziyarat il-ghriba – il pellegrinaggio a Djerba.
Da sempre divisa tra secolaristi che guardano all’Occidente e tradizionalisti con l’occhio a Oriente, la Tunisia è forse l’unico paese che è uscito quasi indenne dalle “primavere arabe” e che ha avuto una transizione pacifica dal regime di Ben Alì alla struttura democratica attuale. Per quanto come affermi la nuova costituzione “l’Islam è la religione del paese”, in questa non si accenna alla shari’a, è sancita l’uguaglianza tra uomo e donna, e già dagli anni di Habib Bourghuiba la poligamia è vietata, il divorzio e l’aborto furono legalizzati ben prima di alcuni paesi occidentali. La Tunisia è l’unico stato del mondo arabo che ha avuto nella sua storia post-indipendenza tre ministri di religione ebraica, l’ultimo René Trabelsi dopo la rivoluzione dei gelsomini.
Lo scorso dicembre il paese e tutti i partiti, compresa Ennahda (islamista e collegato alla Fratellanza Musulmana), hanno pianto pubblicamente la scomparsa di Gilbert Naccache, uno scrittore e un militante della sinistra radicale finito in carcere negli ultimi anni repressivi della presidenza di Bourghuiba. Naccache è morto in Francia dove viveva dal 2003, ma come richiesto nelle ultime volontà la salma è stata rimpatriata in Tunisia. Al funerale erano presenti numerose personalità, tra cui lo stesso presidente Kais Saied, il primo ministro Hichem Mechichi, e altri rappresentanti sindacali e politici.
Naccache era ebreo, ma in numerosi necrologi sui media è stato comunque precisato che fosse “antisionista”.

Francesco Moises Bassano

(22 gennaio 2021)