L’Halakhah e il proprio turno

Da alcune settimane i media ci inondano di immagini di spalle scoperte di ogni dimensione fisica e sociale, trafitte da aghi quasi come fossero freccette al tirassegno. Mi è stato domandato se la Halakhah consente di vaccinarsi sotto l’occhio delle telecamere, come molti hanno scelto o acconsentito di fare. I problemi sono almeno due.
Prima questione. Presupponendo che assumere il vaccino contro il Covid sia un atto meritorio a tutela dell’incolumità propria e altrui, è lecito dare pubblicità alle nostre buone azioni? I nostri Maestri dicono che il modo migliore per fare Tzedaqah è nella riservatezza, ma se si tratta di indurre gli altri a seguire l’esempio, può non essere una deliberazione inopportuna. Da qui per esempio l’uso invalso in molte Comunità di declamare le offerte a Sefer.
Seconda questione. Praticare un’iniezione richiede di scoprire parti del corpo che di solito si tengono coperte. È vero che basta scendere sulla strada in una giornata d’estate neppure particolarmente calda per assistere a spettacoli assai più indecorosi ma, che la cosa sia politically correct o meno, la Halakhah considera fra le “intimità” di una donna anche la parte superiore del suo braccio (Ben Ish Chay, anno I, P. Bo, 8). Pure a questo problema, peraltro, si potrebbe ovviare facilmente, chiamando per reclamizzare il vaccino solo testimonial maschili.
C’è però un’altra ragione più profonda, a mio avviso, per considerare di dubbio gusto la scelta operata da molti leader politici di vaccinarsi fra i primi. Alcuni di essi non rientravano certamente nelle fasce d’età cui i loro stessi governi hanno dato priorità rispetto all’assunzione del farmaco di fatto portando via il posto, complice lo sfruttamento di semplici ed evidenti motivi di immagine, a privati cittadini che in quel momento ne avrebbero avuto maggior diritto. Avrebbero dovuto piuttosto interrogarsi fino a che punto sia lecito che la figura pubblica da essi incarnata prenda il posto del singolo individuo che in quell’istante porta via un beneficio vitale a qualcun altro.
Almeno un leader si è evidentemente posto questo problema e lo ha risolto in un modo senz’altro degno della sua levatura personale e istituzionale: il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Invece di sottoporsi all’iniezione in modo plateale ha preferito attendere il discorso di fine anno per annunciare, o meglio, promettere davanti a tutto il popolo italiano che si sarebbe vaccinato non appena sarebbe arrivato il suo turno. L’impegno assunto pubblicamente (neder be-rabbim) è irrevocabile e dunque sotto il profilo strettamente giuridico (non, ovviamente, quello sanitario) può essere considerato come se avesse già assunto il vaccino: il messaggio ai suoi concittadini è stato non meno efficace, senza tuttavia anteporsi a nessuno.
Ma se i vaccinandi devono attendere il proprio turno i vaccinatori, nel rispetto delle vigenti disposizioni, hanno l’obbligo di vaccinare quante più persone possibile nel più breve tempo possibile. Emblematico il caso di una RSA nel Modenese, di cui è stato dato ampio risalto nelle cronache. È noto che le dosi del vaccino, conservate a temperature bassissime, una volta scongelate non possono più essere rimesse nel congelatore e vanno utilizzate entro poche ore. La legge prevede che se a fine giornata avanzano dosi da iniettare si chiamano le persone prenotate per il giorno successivo a presentarsi immediatamente. Ma se non sono reperibili? I medici di quella casa di riposo hanno allora invitato i parenti degli ospiti e per questo motivo hanno rischiato una querela. Secondo il diritto ebraico essi hanno agito in modo ineccepibile, compiendo una doppia Mitzwah, se così possiamo dire. Hanno evitato lo spreco di dosi altrimenti destinate al cestino e in più hanno fatto in modo di consentire a quegli esterni un domani non lontano di venire a visitare i propri cari in struttura grazie al vaccino.
Le fonti talmudiche che mi sovvengono a nostro sostegno sono due. Anzitutto il principio del diritto ebraico secondo cui zeh neheneh we-zeh lo chasser (“uno gode e l’altro non ci perde”: Bavà Qammà 20b), che obbliga il titolare di un certo bene a metterlo a disposizione di altri che ne facciano richiesta qualora non intenda utilizzarlo egli stesso o, peggio, vada addirittura distrutto. Inoltre la Mishnah stabilisce che, qualora scoppi un incendio di Shabbat senza causare pericolo di vita, il titolare dell’edificio è autorizzato dai Maestri a salvare solo alcuni beni di prima necessità, fra cui il cibo che appena gli serve per la giornata festiva, per evitare che lo stimolo a salvaguardare il patrimonio lo conduca a spegnere il fuoco, azione che di Shabbat è normalmente proibita; ma può invitare altri, chiunque siano, a trarre in salvo il resto per se stessi per quanto possibile, essendo comunque destinato alla distruzione (matzìl: Shabbat 16,3; cfr. Maimonide, Hil. Shabbat 23,24. La Halakhah oggi accettata è tuttavia differente: qualsiasi incendio costituisce pericolo di vita e pertanto viene spento). Vaccinare a fine giornata chiunque si presenti è prassi acquisita negli Stati Uniti e in Israele.
Ci auguriamo di trovare presto il rimedio più adeguato ed efficace ai problemi del momento e che il Santo Benedetto ascolti le nostre preghiere: nello Shemoneh ‘Esreh chiediamo ogni giorno anzitutto la salute (Refaenu) e subito dopo la tranquillità economica (Barekh ‘Alenu). Amèn.

Rav Alberto Moshe Somekh