Medici ebrei e Leggi del ’38, Milano ricorda

“L’Università degli Studi di Milano e l’Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Milano in ricordo dei 153 medici ebrei di Milano che l’Italia fascista espulse dall’Università e dall’Ordine e in particolare di Nathan Cassuto e Gino Emanuele Neppi deportati ad Auschwitz Birkenau”. Così recita la targa svelata nelle scorse ore a Milano, presso la Presidenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Un gesto che vuole essere una presa di coscienza da parte delle istituzioni per le responsabilità del passato. La cerimonia ha visto la partecipazione del rettore Elio Franzini, del presidente del Comitato di direzione di Medicina e Chirurgia, Gian Vincenzo Zuccotti, di Roberto Carlo Rossi e Ugo Garbarini, rispettivamente presidente e presidente onorario dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Milano, di Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, di Luciano Bassani, vice assessore Welfare della Comunità Ebraica di Milano, e di Maurizio Turiel, docente in Statale e presidente dell’Associazione Medica Ebraica di Milano.

Di seguito l’intervento del vicepresidente UCEI Giorgio Mortara

Ringrazio sentitamente i rappresentanti dell’Università degli studi di Milano, della facoltà di Medicina e dell’ordine dei medici di Milano, nelle persone del Rettore Franzini, del Preside Zuccotti, del Presidente Rossi e del Presidente Onorario Garbarini, per aver portato avanti e aderito a questa significativa e importante iniziativa.

Vi porto il saluto della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, impegnata in queste ore a Roma nelle celebrazioni istituzionali al Quirinale, e del Consiglio UCEI, rinnovandovi la grande e unanime approvazione per l’affissione, in questa prestigiosa sede, di una targa in ricordo dei 153 medici ebrei di Milano che l’Italia fascista espulse dall’Università e dall’Ordine dei medici, una triste pagina della storia della nostra città.
Associo nel ricordo anche tutti i docenti e gli studenti, i professionisti che furono espulsi da altre facoltà e da altri ordini professionali in tutta Italia molti dei quali persero tragicamente la vita per il solo fatto di essere ebrei.
La Tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico ZACHOR, ricorda. Termine che ritroviamo anche nella promulgazione dei 10 comandamenti sul Monte Sinai. E successivamente in Deuteronomio (32; 7):
“Ricorda i tempi antichi, cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno…”.
Nella lingua ebraica non c’è il termine storia che viene tradotto con “toledot” che letteralmente significa “generazioni”. Non vi è dunque Storia se non attraverso ciò che una generazione riesce a tramandare alla successiva. In questo risiede l’imperativo morale di ricordare.
Ricordare è pensare, e della Shoah resta ancora molto su cui riflettere.
Ritrovandoci all’Università, voglio sottolineare il concetto “ricordare per educare”, del quale voglio precisare alcuni aspetti.
– Il primo riguarda il valore della cultura come antidoto all’odio. Il fascismo e il nazismo hanno avuto origine in due paesi dalle tradizioni culturali raffinatissime come l’Italia e la Germania del ‘900. Gli accademici italiani elaborarono “il manifesto della razza” mentre quelli tedeschi “la nuova salute germanica”, perdendo di vista i valori che sono alla base della morale e del rispetto dell’uomo.
Non sempre dunque la “cultura” è sufficiente. La vera cultura non va mai contro il diritto alla vita e al rispetto dell’uomo, e ammette il riconoscere le opinioni di altri e accettare che altri abbiano un pensiero diverso, nei limiti della civiltà e del rispetto della dignità umana.
– Occorre non solo capire cosa è stata la Shoah – fatti e metodi dello sterminio, regimi conniventi e leggi prodromiche – ma occorre anche comprendere che è il risultato di secoli di antisemitismo e che l’antisemitismo oggi esiste ed è aumentato e quindi essere coerenti ed essere incisivi nella realtà odierna.
– Occorre capire che l’antisionismo è antisemitismo, come ha ricordato il Presidente Mattarella più volte nelle celebrazioni del 27 gennaio. Infatti, chi aprioristicamente dà contro allo Stato ebraico, spesso senza conoscere bene i fatti, utilizzando la lente deformante del pregiudizio, senza la volontà di capire a fondo e di approfondire, è probabile risenta di un pregiudizio contro il popolo ebraico, antico e profondo, che assume un’altra forma, ma la cui sostanza è la stessa.
– Non bisogna accettare l’appiattimento dell’esistenza ebraica unicamente sul fenomeno della Shoah, dimenticando che gli ebrei non sono il popolo dei morti ma un popolo vivo, che sopravvive da più di 3000 anni e che oggi esiste anche lo Stato di Israele, un Paese vivo e vitale, spesso protagonista e fautore di grandi innovazioni tecnologiche e scientifiche, anche in campo medico.
– E’ importante riconoscere lo sterminio e la Shoah ma ricordare anche che gli ebrei hanno partecipato alla Resistenza e hanno combattuto per liberare l’Italia dal nazifascismo. La stessa Italia che li ha traditi con leggi razziste nel ’38 e li ha dichiarati nemici della patria.
– La Shoah è un prisma attraverso cui leggere la storia. Il confronto è uno strumento essenziale per riconoscere altre situazioni di crisi e prevenire altri genocidi.
-Non basta dire mai più. La cultura e l’istruzione non devono solo preparare i giovani ad affrontare la vita ed a comprendere le insidie della realtà globalizzata nella quale siamo immersi ma a vincere l’indifferenza verso l’altro, come ci ha insegnato la Senatrice Liliana Segre. E’ necessario comprendere il peso dell’“obbedienza cieca”, fattore emerso anche in occasione della conferenza dei Rettori che si è tenuta a Pisa nel 2018, in occasione degli 80 anni dalle leggi razziali in Italia, dal titolo “cerimonia del ricordo e delle scuse” alla quale ero presente.
Riporto parte del discorso del Rettore Mancarella
“Che cosa avrei fatto io allora? Avrei obbedito?”. Interrogativo senza risposta. Interrogativo utile, non solo a evitare ipocrisia e codarda prevaricazione, ma a riproporsi oggi con la sola variazione del tempo del verbo: “Che cosa farei io in una circostanza simile? Obbedirei?”
“Nel luglio scorso ho letto una frase di un blogger serbo-bosniaco”, continua Mancarella, “che pure riguardava un anniversario, quello del massacro di Srebrenica, altro orrendo esempio dell’odio per i diversi da sé – perché di questo stiamo parlando, ricordiamocelo bene”. Dice: “La malvagità non ha bisogno di gente malvagia, ma di persone obbedienti”.
Questa sua frase mi ha subito evocato un’altra frase di un uomo a cui la mia formazione deve molto, un italiano – nato ebreo da famiglia ebraica, peraltro – poi prete e priore a Barbiana che tutti conoscete, Don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù”.
Voglio chiudere il mio intervento riportando una frase tratta dalle memorie di mio padre Eugenio zl, raccolte in un libro di recente pubblicazione intitolato “Il nonno ha aperto i cassetti delle memorie”:
Riflettete sul significato fondamentale delle tre parole: uguaglianza, libertà e giustizia, in contrapposizione alle tre parole che formavano il credo fascista cioè ordine, disciplina e obbedienza.
Illustre Rettore, Illustri Professori
L’auspicio comune è che queste iniziative e questi atti encomiabili e riparatori, il comune lavoro sulla Memoria portato avanti da Comunità ed Enti ebraici insieme alle Istituzioni e alla società civile, possano servire quale monito affinché quanto accaduto non accada di nuovo, in nessun tempo, in nessun luogo e contro nessun’altra minoranza.

Giorgio Mortara, Vicepresidente Unione Comunità Ebraiche Italiane

(Foto di Matteo Chiari)