Non è memoria antica
Attorno ad ogni 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, mi sono recato presso scuole ed università. Non è stato sempre semplice spiegare cosa è stata la Shoah, a chi affronta il discorso per la prima volta al di fuori dai libri di scuola, e ho sempre avuto il timore di traumatizzare gli allievi più giovani.
Persevero tutt’oggi nella spiegazione che quanto accaduto non appartenga ad un tempo remoto. Posso farlo perché porto con me alcune opere pittoriche di mia madre, Eva Fischer, che rappresentano a mio avviso l’intero mondo buio che l’ha inseguita come un’ombra, ma che in quanto artista ha trovato sbocco in una sorta di “diario segreto”, al punto tale che nessuno ne conosceva l’esistenza, neanche io.
La Shoah che ho sempre raccontato è a colori, al di fuori dai documentari cinematografici dell’epoca, che la fanno sembrare appartenente ad un’epoca lontana. I protagonisti dei suoi quadri legati al diario, assumono ai miei occhi contorni sempre nuovi. Rappresentano parenti ed amici, sconosciuti e gente del quotidiano: un calzolaio, un professore, una pianista ed un muratore; il fornaio ed il macellaio, il colto e l’ignorante, l’ortodosso ed il laico, il socialista ed il liberale. Persone che per un diktat hanno visto portarsi via la propria umanità e sono state trattate peggio di un oggetto privo di valore.
Non mi è bastato essere figlio di genitori, che da piccolo supponevo – o speravo nel loro bene – volessero disfarsi del loro triste passato, come se anche agli umani fosse data l’eliminazione dei dati dalla memoria, ma che poi mi sono accorto che forse per questo restavano legati all’obbligo di tramandare, affinché quel che era accaduto non trovasse più ripetizione.
Mi commuovo ancora riascoltando le testimonianze delle vittime della Shoah, pur avendo raccontato svariate volte il mio essere “seconda generazione” e nonostante io abbia conosciuto e frequentato tanti deportati. Mi arrabbio ancora vedendo i filmati di una piazza Venezia che esaltava i discorsi del Duce ed i nazisti che controllavano paesi e città, villaggi e campagne di quasi tutta l’Europa, neanche fossero stati un miliardo di persone; ma la storia mi ha insegnato quanti cittadini di altre nazioni si sono sentiti in dovere di definirsi di “razza pura”, macchiandosi delle nefandezze più atroci, divenendo anch’essi carnefici, nazisti più dei tedeschi, disumani nel loro essere.
Rammento di quando venni accusato in quinto liceo, a causa del mio cognome “germanico”, di aver imbrattato il bagno della scuola con la scritta “Juden Raus” (ebrei fuori) e mentre il preside gettava su di me sguardi accusatori, i compagni di classe sghignazzavano per il suo errore. Alla fine di una lunga predica, ricordo di averlo abbracciato ringraziandolo – la scritta era stata fatta per me -, ma lui rimase stupito da questo, sicuramente immaginando che io lo stessi prendendo in giro.
L’impegno di ognuno ha forse portato molti a conoscere la Shoah ed a rendersi conto di cosa pochi decenni or sono, è accaduto. Purtroppo ancora oggi in pochi sono però a conoscenza di cosa sia ad esempio lo Yom Kippur, altre festività ebraiche o di altre religioni e culture. Questo perché c’è ancora indifferenza verso le cosiddette minoranze, pur essendo parte integrante plurimillenaria della storia del paese, dell’Europa intera, del mondo. Questa mancanza di conoscenza e del desiderio di sapere crea quell’ignoranza neanche troppo recondita, che spesso una malsana politica fa diventare cultura dello stato, a danno della condivisione culturale come parte formativa necessaria alla crescita di ogni paese. Ironicamente (ma non troppo) potremmo parlare di “Legge che non legge”.
Non parliamo poi dell’insegnamento dottrinale politico legato a tempi passati ma non troppo, dove va condiviso e deriso l’avversario, tanto da renderlo nemico. Per questo, senza cercare verità storiche, si accusa di nefandezze lo Stato di Israele, al di fuori della possibile antipatia verso un suo governo, ma solo volendo favorire chi nutre la bieca volontà di eliminarlo. Chi vuole la distruzione di quel che viene comunemente ed erroneamente chiamato “stato degli ebrei”, vuole allora l’eliminazione di un intero popolo, come già successo meno di ottant’anni fa. Prima che sia troppo tardi, l’Europa dovrebbe indurre gli stati membri ad adottare la definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) con la condanna contro ogni riabilitazione storica di chi partecipò ai crimini della Shoah, ribadendo una presa di coscienza sulla condizione ebraica moderna e sul collegamento tra odio anti-ebraico e antisionismo.
La società tende ancora a differenziare i propri componenti: nazioni, colori, politiche, religioni, culture, orientamento sessuale, tifo calcistico … tutti nello stesso marasma che ci fa tornare indietro di secoli. Eppure si credeva che sotto l’influenza di un’epidemia mondiale, ci si rendesse conto che ne siamo tutti ed a pari livello, vittime e protagonisti.
Vivo questo Giorno pensando ai 41 parenti diretti trucidati, usciti o strappati dalle loro case. Vivo pensando ai 6 milioni di morti innocenti, ma vivo anche sperando che un amico non ebreo mi chiami per augurarmi buon Rosh haShanah (il capodanno ebraico).
Alan Davìd Baumann
(27 gennaio 2021)