I Savoia e l’antisemitismo
Sulla richiesta di perdono avanzata da Emanuele Filiberto di Savoia in merito alle responsabilità della sua famiglia nell’emanazione delle leggi razziste del 1938, il comunicato dell’UCEI è definitivo; ad esso non c’è da aggiungere nemmeno una virgola.
Può invece essere utile una riflessione su due temi che sono strettamente legati all’emanazione di quelle leggi infami: il rapporto tra fascismo e antisemitismo e quello tra fascismo e monarchia sabauda.
Quanto al primo, si è ripetuto molte volte, sulla base delle testimonianze di chi quel periodo l’ha vissuto sulla propria pelle, che quelle leggi apparvero come un fulmine a ciel sereno, qualcosa di assolutamente inatteso. Ma è proprio così o piuttosto quella sorpresa fu il frutto di una rimozione, una rimozione più che comprensibile, la rimozione di un pericolo che in realtà era sempre stato latente anche da quando, ufficialmente, agli ebrei era stata riconosciuta la parità dei diritti di cittadinanza?
In realtà nella società italiana, al di là di alcune minoranze illuminate, un antisemitismo latente è sempre stato presente e non poteva che essere così, visto che la Chiesa cattolica non aveva mai interrotto la propria campagna antigiudaica, anzi l’aveva particolarmente accentuata in certi periodi ad opera soprattutto della Compagnia di Gesù con la sua rivista “La Civiltà Cattolica”, e con la stessa prassi rituale che indicava nei “perfidi giudei” i responsabili della morte di Gesù.
Il fascismo si affermò perciò in un una società già predisposta all’antisemitismo. Ma al di là di questa generica predisposizione, il nazionalismo stesso, che costituiva il nucleo della cultura fascista, creava le condizioni, come in ogni forma di nazionalismo, per accogliere una politica razzista.
In realtà c’è molto di più. Nel fascismo fu sempre presente una corrente antisemita che si ingrossò o si assottigliò a seconda delle convenienze e della volontà del Capo. Giovanni Preziosi con la sua “Vita italiana” è la figura più nota ed è presente in tutta la storia del fascismo fino al suo tragico epilogo e già nel 1921 tradusse e divulgò i Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Ma non va dimenticato un economista famoso come Maffeo Pantaleoni o lo stesso Gino Arias; in particolare non va dimenticato Paolo Orano, che fu forse il primo in Italia, già nel primo decennio del secolo, con la sua rivista “La Lupa”, a diffondere tesi antisemite di origine non religiosa e che nel 1937 pubblicò il suo Gli ebrei in Italia , un pamphlet destinato a predisporre soprattutto le classi più colte ad accettare la politica antisemitica che era in preparazione.
La carta antisemita è stata sempre in realtà presente nel fascismo, che l’ha messa in secondo piano o viceversa in evidenza a seconda delle sue esigenze, fino a imporsi definitivamente al momento dell’alleanza di ferro con la Germania nazista.
Particolarmente evidente e ben noto è il legame, non occasionale, tra fascismo e monarchia sabauda, che inizia ben prima del fatidico 28 ottobre 1922 e addirittura già prima della fondazione dei Fasci di Combattimento il 23 agosto 1919. Se infatti, come i fascisti hanno sempre sostenuto e con ragione, il fascismo è figlio dell’interventismo non si può dimenticare che le spinte interventiste portarono l’Italia in guerra – nonostante che la maggioranza del Parlamento e del paese fosse contraria – non soltanto per i discorsi infuocati di Gabriele D’Annunzio ma soprattutto per la scelta compiuta dallo Stato Maggiore dell’Esercito sostenuta dallo stesso Sovrano. Vittorio Emanuele III legò perciò il suo nome a quella scelta interventista da cui nacque nel dopoguerra il clima della “vittoria mutilata” che fu alle base, o almeno fu una delle basi, dell’affermazione del fascismo.
Da quel momento in poi i legami tra fascismo e monarchia sono ben noti: dal rifiuto da parte del Re di firmare il decreto sullo stato d’assedio che avrebbe bloccato i fascisti alle porte di Roma al silenzio di fronte alle suppliche degli esponenti liberali che invocavano l’intervento del Sovrano in seguito al delitto Matteotti; al silenzio mantenuto dopo il discorso del 3 gennaio 1925 e i conseguenti provvedimenti liberticidi. E poi molto più del silenzio, la entusiastica accettazione del titolo di Imperatore dopo la conquista dell’Etiopia, la passiva accettazione della decisione di entrare in guerra. La firma apposta alle leggi razziste non fu perciò un episodio isolato ma si inserisce in questo continuum di rapporti tra fascismo e monarchia.
Il colpo di Stato del 25 luglio 1943 non riscattò certo Vittorio Emanuele III dalle colpe di venti anni, senza dimenticare che quel colpo venne attuato solo in seguito alla votazione del Gran Consiglio del Fascismo, perché il Re voleva in ogni caso una copertura!
Ma la responsabilità più grave di Vittorio Emanuele III di fronte agli italiani e in particolare di fronte agli ebrei fu costituita dalla vergognosa fuga sua e di tutta la sua famiglia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Quella fuga lasciò l’esercito senza ordini, allo sbando, in balia di tedeschi; e aprì il periodo più oscuro delle persecuzioni antiebraiche. Le deportazioni degli ebrei, che ebbero nella razzia di Roma del 16 ottobre 1943 uno dei primi e più noti episodi, sono anch’esse la conseguenza diretta dell’abbandono da parte del Re della sua responsabilità di Capo dello Stato.
Come si vede, le responsabilità di Casa Savoia vanno ben al di là di quella firma, pur gravissima, sulle leggi del 1938. Di tutto ciò Emanuele Filiberto di Savoia non sembra essere consapevole ed è per questo che dovrebbe comprendere che l’atteggiamento che più gli si addice sarebbe il silenzio.
Valentino Baldacci