Idoli e nemici

Una volta si limitavano a imbrattare i muri di frasi antisemite con l’intento di dileggiare o impaurire.
Oggi i muri da imbrattare non sono necessariamente fatti di mattoni; ci si può intrufolare in una piattaforma social durante un convegno o una presentazione libraria, piratare il sito di un ente ebraico, creare blog dedicati alla propaganda antisemita e altro ancora.
Pennellare muri fisici e informatici di frasi antisemite non equivale a dipingere murales di protesta sociale o politica (magari di pregio artistico da street art) né all’urlo pietrificato del macaco che scrive “ti amo Valeria” sul muro di una cattedrale; è la spia accesa dell’olio di una macchina della civiltà che sta esaurendosi.
La frase antisemita è generalmente breve, ben congegnata e anonima, esprime la vigliaccheria dell’autore ma non è un gesto isolato; la sua mano impugna la bomboletta spray gentilmente fornita dal branco – che nel silenzio codardo approva – o entrambe le mani scorrazzano a briglie sciolte sulla tastiera di un computer.
Ognuna di queste frasi apre mostruosi varchi temporali che tristemente ci mostrano messaggi educativi mai arrivati a destinazione; effetti collaterali di una società che rigurgita e si vomita addosso il non digerito di una cultura inesistente, di libri mai aperti o letti male, di seri problemi di apprendimento brillantemente risolti scegliendo l’ignoranza.
Amalek, edomita e nemico del popolo ebraico, fondamentalmente era un vigliacco; attaccava Israele non sul fronte – dov’erano i più giovani – ma nelle retrovie piene di anziani, donne e bambini.
Rav Roberto Della Rocca scrive che la frattura e la disgregazione sociale sono la causa principale dell’avvento di Amalek che appare quando un popolo si lascia cogliere da dubbi sul proprio destino e la propria identità: “l’Amalek interiore si proietta nel reale e si materializza in un Amalek esteriore” che tende ad annientarlo.
L’antisemitismo è un tolkeniano Smaug appisolato che, arrivato alle curve pericolose della Storia, si risveglia bruscamente dal profondo letargo; chi è antisemita non si accontenta di odiare gli ebrei ma odia ferocemente sé stesso e chiunque non la pensi come lui.
Una società che non sviluppa forti antidoti a razzismo e antisemitismo è simile a un uomo che improvvisamente si scopre nudo e può soccombere a causa di un semplice raffreddore.
Ci sono cose che, se possibile, sono socialmente deleterie quasi quanto l’antisemitismo ossia l’idolatria (in ebraico avodà zarà) e una occulta e irrisolta paura del diverso; l’uomo tende non soltanto a creare artificialmente falsi idoli ma anche falsi nemici.
Per dirla alla maniera di Michael Corleone interpretato da Al Pacino ne Il Padrino – Parte II (Francis Ford Coppola, 1974), “due facce della stessa ipocrisia”; si finisce per venerare i primi e temere i secondi.
L’energica reazione di Moshè Rabbenu nel soffocare ogni tentativo di avodà zarà dopo la prima discesa dal Sinai potrebbe essere altresì letta in questo modo; mai crearsi idoli e nemici.
La parcella dei muri imbrattati – solidi o virtuali – la pagheremo tutti, apertamente dissenzienti o silenziosamente consenzienti; non sarà un saldo in denaro.
Ricordate quel tizio che anni fa a Roma sfasciò una fontana di Piazza Navona passeggiandoci sopra e al processo chiese al giudice di essere risarcito perché nell’arrampicarsi si fece male a un piede?
Non c’è più nitida fotografia del paradosso sociale che potremmo trovarci a vivere se non metteremo in salvo il pensiero e la bellezza che abbiamo creato con i nostri cervelli e le nostre mani; non solo li perderemo ma, come una nuova Kristallnacht, qualcuno ci farà pagare il conto della distruzione.
Insisto: l’Arte salverà sia il mondo che i suoi abitanti e farà crescere le future generazioni immuni dall’ignoranza, madre di tutti i virus.
Ma non c’è arte che possa apprendersi senza impegno, studio, lavoro, energie spese sino in fondo; questo è il momento storico nel quale occorre accelerare il passo per vincere la corsa contro il tempo.
A quel punto, le scritte sui muri di qualunque specie scompariranno da sole.

Francesco Lotoro