Le radici di Wonder Woman

Tre anni fa l’israeliana Gal Gadot nei panni di Wonder Woman sbancava il botteghino con un incasso di oltre 800 milioni. E benché il Covid 19 si sia messo di mezzo, anche il sequel Wonder Woman 1984, che di nuovo la vede nel ruolo principale, promette bene. Negli Stati Uniti – dov’è stato distribuito a Natale nei cinema e per un periodo limitato sul canale televisivo Hbo – i riscontri sono ottimi, anche se non clamorosi come quelli del film precedente. E solo il tempo dirà quanto e se abbiano giocato la contemporanea uscita in sala e in tivù, la protratta chiusura di molti cinema e il fatto che una pandemia non è il momento ideale per portare fuori la famiglia. In Italia il film è atteso a fine di gennaio, anche se la situazione sanitaria in costante evoluzione potrebbe modificare le tabelle di marcia. Intanto, vale la pena di tornare alle origini di Wonder Woman che non è una creatura di pura evasione ma nasce dai sogni e dalle battaglie delle suffragette e muove i primi passi nel mondo grazie a una vera Wonder Woman del suo tempo al centro di un approfondimento sul numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione: Miriam Michelson, straordinaria giornalista e scrittrice ebrea di San Francisco, da poco riscoperta dagli studiosi e dal pubblico.

Wonder Woman debutta nel 1941 sull’ottavo numero di All Star Comics. Ha la forza di Superman, la prontezza di Batman. Ed è una donna. Una bellissima donna. Se finisse qui, non ci sarebbe molto da aggiungere, ma Wonder Woman incarna la nuova donna – è libera, anticonformista, decisa a farsi strada da sé. A crearla è un intellettuale eccentrico e vulcanico, William Moulton Marston, che in materia di donne ne sa parecchio. Psicologo, autore di libri di self help e inventore con la moglie Elizabeth Holloway della macchina della verità, Moulton Marston sfida le convenzioni in un ménage a trois che si svolge alla luce del sole e condivide casa, figli e finanze. Quando decide di creare un supereroe che conquista il mondo con l’amore, segue dunque il consiglio della moglie. La fa donna e la modella su quelle che lo circondano – indipendenti, idealiste, impegnate. Le radici di Wonder Woman affondano così nell’aspirazione all’uguaglianza fra i sessi, nella lotta per il diritto al voto e soprattutto nel lavoro e nella vita di Miriam Michelson a cui la scrittrice americana Lori Harrison-Kahan ha di recente dedicato un libro, The Superwoman and Other Writings by Miriam Michelson (Wayne State University Press, 2019). In quest’intervista a Pagine Ebraiche, l’autrice esplora il legame fra Michelson, la superoina dei fumetti e le ragioni del suo impatto sul movimento femminista.

Miriam Michelson non è l’autrice di Wonder Woman, ma quest’ultima in qualche modo le deve la vita.
Nel 1912, dunque ben prima che la supereroina venga al mondo, Michelson scrive una novella intitolata Superwoman che viene pubblicata da Smart Set, una rivista letteraria molto prestigiosa e diffusa. Il racconto rientra nel filone della letteratura utopica femminista, che gode di grande popolarità negli anni che precedono l’approvazione del diritto al voto alle donne nel 1920.

Cos’ha in comune questa storia con quella di Wonder Woman?
Anche Superwoman racconta una società retta dalle donne, dove la discendenza è matrilineare e gli uomini sono cittadini di seconda categoria. Michelson descrive un mondo in cui i ruoli sono rovesciati, le donne sono venerate per la loro forza e saggezza e la nascita di una bambina è accolta con giubilo. La stessa trama riporta alla mente quella di Wonder Woman: anche qui un uomo si risveglia su un’isola remota, in questo caso dopo un naufragio, ed è salvato dalle sue potenti abitanti.

Sono coincidenze che hanno dell’incredibile.
La scrittrice Jill Lepore, in The Secret History of Wonder Woman, ha già mostrato come le sue origini vadano in realtà rintracciate nel movimento per il suffragio. L’isola delle Amazzoni è uno dei temi centrali della fiction femminista e così il ribaltamento dei ruoli. Quanto a Superwoman, è stato uno dei lavori più influenti del suo tempo, grazie alla straordinaria popolarità dell’autrice e al fatto che Smart Set era una sorta di New Yorker dell’epoca. Non si può provare che William Moulton Marston l’abbia letto di persona ma è impossibile immaginare che lui o il suo ambiente lo ignorassero.

Da allora le donne hanno fatto una lunga strada in tema di diritti. Eppure questi sono anni dominati da angosciose distopie. Penso al Racconto dell’ancella di Margaret Atwood, mai così presente nell’immaginario collettivo. Come si spiega quest’inversione di rotta?
Le utopie femministe accompagnavano un momento di speranza, la marcia verso una svolta storica. Oggi il clima politico e culturale è mutato: per rendersene conto basta leggere un’autrice come Naomi Alderman e il suo Ragazze elettriche.

Tornando a Miriam Michelson, viene da pensare che sia lei la vera Wonder Woman. È stata una giornalista, ha viaggiato sola ed è diventata autrice di best seller in anni che concedevano ben poco spazio alle donne. Viene da chiedersi perché sia finita nel dimenticatoio.
Il suo lavoro non è stato preso sul serio dalla critica perché la sua fiction era considerata leggera. Michelson veicola però messaggi profondamente femministi. I suoi scritti ispirano un grande senso di possibilità, tanto più che rispecchiano la sua stessa vita così controcorrente.

Michelson scrive spesso di realtà multietniche e lo fa senza cedere ai luoghi comuni né al pregiudizio. Quanto conta, in quest’approccio, la sua origine ebraica?
A sentire lei non in maniera particolare. La sua sensibilità e la sua capacità di immedesimarsi con i soggetti ai margini – penso a certi reportage su Chinatown, i Native Americans e il razzismo – devono però molto al fatto di essere cresciuta da outsider in una cittadina dove i Michelson erano i soli ebrei sperimentando così in prima persona cosa significhi essere minoranza.

Wonder Woman è un personaggio che ha avuto un grande impatto sul movimento femminista e all’uscita del sequel nei cinema americani si sono di nuovo viste platee affollate di mamme e bambine. Se pensa a una Wonder Woman in carne e ossa chi le viene in mente?
Senz’altro Ruth Bader Ginsburg. Non solo ha vissuto una vita eccezionale e ha influito nel profondo della sensibilità e della cultura contemporanee ma è ormai parte dell’immaginario collettivo. Ormai non si contano i libri per bambini, le bambole, le spille e tazze con l’immagine di RBG. E a giudicare dai miei figli e dai loro compagni, Kamala Harris è sulla buona strada per diventare la Wonder Woman degli anni a venire.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Febbraio 2021