Un timido passo avanti

“Un elemento farsesco, del resto, non era mai mancato neppure quando all’inizio l’Italia aveva tentato sul serio di adeguarsi alla sua potente amica e alleata. Verso la fine degli anni ’30 Mussolini, cedendo alle pressioni tedesche, aveva varato leggi antiebraiche e aveva stabilito le solite eccezioni (veterani di guerra, ebrei superdecorati e simili), ma aveva aggiunto una nuova categoria e precisamente gli ebrei iscritti al partito fascista insieme ai loro genitori e nonni, mogli, figli e nipoti. Io non conosco le statistiche in proposito, ma il risultato dovette essere che la maggioranza degli ebrei italiani furono “esentati”. Difficilmente ci sarà stata una famiglia ebraica senza almeno un parente “iscritto al fascio” poiché a quell’epoca già da un quindicennio gli ebrei, al pari degli altri italiani, affluivano a frotte nelle file del partito, dato che altrimenti rischiavano di rimanere senza lavoro. E i pochi ebrei veramente antifascisti (soprattutto comunisti e socialisti) non erano più in Italia.” (Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli 2001, pp.184-185).
Come ha fatto una filosofa ebrea a scrivere nel 1963, quasi vent’anni dopo la fine della guerra e con tutto il tempo per informarsi, un simile cumulo di sciocchezze? Come ha fatto a dare per scontato che “discriminati” significasse “esentati” e che le eccezioni riguardassero tutti gli iscritti al partito e non solo i fascisti della prima ora? Come non le è venuto in mente di verificare il testo esatto delle leggi razziali prima di scriverne? O almeno di chiedere una conferma a qualche testimone o conoscente italiano?
Al confronto con queste parole di Hannah Arendt e con molte altre sciocchezze e assurdità che ci è capitato di leggere e sentire sulle leggi razziali in Italia anche da parte delle persone più insospettabili, devo confessare che alla prima impressione la lettera di Emanuele Filiberto di Savoia non mi è sembrata poi così terribile. Certamente discutibile, certamente strumentale, certamente tardiva, certamente ci sono mille buoni ragioni per essere diffidenti, ma sarebbe forse stato meglio che non l’avesse scritta per nulla? Quale vantaggio ne avremmo ricavato?
Sarà perché ci troviamo nel periodo dell’anno scolastico che nella mia scuola è dedicato alle attività di recupero, la lettera mi ha fatto venire in mente quegli allievi che non hanno mai fatto assolutamente nulla e ad un certo punto iniziano a studiare un pochettino e passano magari dal 3 al 4. Di solito si cerca di incoraggiarli anche se non è affatto scontato che a fine anno arriveranno alla sufficienza. E se poi provengono da una famiglia problematica (nel nostro caso si può dire disastrosa) a maggior ragione lo sforzo di cambiare può essere significativo anche se non produce risultati immediati. E anche se saranno bocciati il loro primo timido inizio di impegno potrà comunque essere utile per il futuro. Anche la storia d’Italia non finisce né oggi né domani, e forse la lettera con tutti i suoi difetti può essere vista come un primo incerto passo nella direzione giusta.
In ogni caso le infelicissime righe di Hannah Arendt che ho citato in precedenza dimostrano che in questi ultimi cinquant’anni nonostante tutto la consapevolezza di cosa siano state le leggi razziali in Italia ha fatto tali passi avanti nell’opinione pubblica che oggi neppure un discendente del re che le ha firmate può permettersi di scrivere sciocchezze come quelle che persino una filosofa ebrea cinquant’anni fa poteva scrivere impunemente. Tutto sommato mi pare una buona notizia in un periodo in cui le buone notizie scarseggiano.

Anna Segre