Zoom, istruzioni e questioni
Poiché si moltiplicano le incursioni squadristiche online che interrompono o disturbano incontri pubblici sulla piattaforma Zoom (la più vulnerabile), mi permetto di fornire alcune indicazioni e condividere valutazioni che mi paiono rilevanti. Si parta dal presupposto che una riunione via web non sostituisce un evento pubblico. Dal punto di vista tecnico si è infatti ospiti di una piattaforma privata. Si paga una prestazione a una società, che peraltro non ha sede in Italia. Se è vero che si possono adottare delle modalità per filtrare i partecipanti, in ogni caso non si è liberi di controllarli effettivamente come se fosse un evento in presenza, né si possono attivare (almeno per il momento) azioni efficaci sul piano repressivo. Per essere chiari: se mentre parlo come oratore durante un evento vengo insultato da uno spettatore che mi augura di finire in un forno crematorio (è accaduto due sere fa al sottoscritto, e a tanti altri), è perfettamente inutile che io minacci denunce perché per rintracciare chi mi insulta dovrei poter rintracciare il suo indirizzo IP, la sua mail e la sua identità effettiva, e dovrei poi chiedere l’autorizzazione privacy alla piattaforma che ci ospita per ottenere e utilizzare quei dati. Paradossalmente, lo spettatore insultante è più tutelato di chi viene insultato. Si aggiunga poi che le forze di polizia non sono in alcun modo attrezzate al momento (nonostante da quasi un anno tutti noi si viva sulle piattaforme web) per attivare efficaci azioni di repressione e contrasto. L’unica arma è la denuncia semplice, che tuttavia si rivela una tradizionale raccolta dati relativa alle azioni di disturbo, ma priva di efficacia. Posso denunciare l’evento nel suo complesso, descrivendo ciò che è accaduto, ma purtroppo l’identità degli squadristi informatici è sempre celata dietro nicknames che rendono superflua ogni azione repressiva. Si tratta di una situazione che deve essere ben presente a una serie di soggetti: alle organizzazioni che offrono eventi, che devono attrezzarsi in modo da evitare di accogliere sulle piattaforme web ascoltatori indesiderati, garantendo nel contempo la democraticità dell’iniziativa. Alle forze di polizia, che devono aggiornare le loro modalità di intervento anche immediato, di emergenza, su singoli episodi durante i quali si commettono reati in diretta. Alle istituzioni (direi alla giurisprudenza in genere) che devono saper legiferare rapidamente mettendo nelle condizioni chi utilizza quelle piattaforme di costituire spazi di confronto liberi e civili, trasparenti e garantiti. Alle società che offrono questi servizi, che non possono far prevalere la logica del profitto ma devono poter garantire adeguati strumenti di controllo. Decisamente stiamo entrando in un mondo nuovo, diverso. Ci dobbiamo per forza abituare. Gli squadristi del web già lo hanno fatto, con efficacia, aumentando a dismisura l’eco del discorso d’odio. Non possiamo permettercelo.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC