La Memoria a rischio

Non c’è che dire, la Shoah continua a dare fastidio, a destra come a sinistra. E a me, sinceramente, spiace per la sinistra. Ma un po’ di onesta chiarezza a volte è necessaria.
Il riscontro del disagio di cui soffre l’antisemitismo lo si ha chiaro il 27 gennaio, giorno in cui si commemora l’apertura delle porte di Auschwitz, quando si propongono, più frequenti che mai, i collegamenti fra la Shoah e altri massacri o ingiustizie dei giorni nostri. Con annuale regolarità, proprio il Giorno della Memoria, ci si sente chiedere, da una parte, di ricordare le foibe e i crimini stalinisti, dall’altra, di considerare una Shoah gli annegamenti dei migranti nel Mediterraneo o i massacri quotidiani proposti dalla cronaca. È superfluo, qui, esporre per l’ennesima volta che cosa distingua macroscopicamente gli eventi accennati.
A pretesto di questi richiami analogici si adduce la sensibilità dell’umanitarismo universalistico (o internazionalistico); il risultato, di fatto, è quello di rimuovere lo sguardo dalla Shoah per spostarlo su qualcosa di diverso. Oltretutto, se, da un lato, è operazione ambigua distogliere lo sguardo dalla Shoah, dall’altro, lo spirito umanitario non ha bisogno del richiamo alla Shoah per provare orrore di fronte alle disumanità del presente e levare forte la sua voce ogni altro giorno dell’anno.
La Shoah, allora, corre sì il pericolo di essere cancellata dalla memoria della nostra civiltà dal negazionismo e dalla demagogia riduzionistica, ma rischia anche di essere banalizzata dalle false analogie che ti costringono a precisare di continuo quanto specifica e particolare sia stata la Shoah in relazione a massacri, annegamenti e lotte intestine territoriali.
La Shoah sta così perdendo la sua natura di evento storico orrendamente reale per essere trasformato in paradigma funzionale. Serve a mostrare qualcos’altro, a parlare di qualcos’altro. E ci si chiede quanta buona fede vi sia nell’operazione. A destra come a sinistra.
La Shoah è strumentalizzata con modalità diverse: da chi, giudicandola unica, fatica a considerare la tragedia di altri genocidi e crimini umanitari; da chi la usa per giustificare la nascita di Israele, delegittimando così tutta la storia del sionismo e la stessa storia tormentata dell’ebraismo diasporico; e da chi, per spirito umanitario, ne appiattisce la drammaticità storica assimilandola a spaventosi, ma ben minori, drammi del quotidiano.
A questo punto, non sembra paradossale chiedere che si smetta di parlare di Shoah, se lo si deve fare deformandone realtà e contorni. Si rispettino le vittime!

Dario Calimani

(2 febbraio 2021)