Chi scrive la storia
“La storia è scritta dai vincitori” è un luogo comune molto diffuso ma pericoloso, spesso citato a sostegno di tesi negazioniste o per rivalutare il fascismo, oppure, nel migliore dei casi, utilizzato per mettere in dubbio a priori qualunque genere di ricerca storica. Ma tendenzialmente, a parte il fastidio che proviamo per l’uso distorto che ne viene fatto, tendiamo a prenderlo per buono. A mio parere, invece, oltre ad essere fastidioso e pericoloso è anche frequentemente falso. Non sono pochi i casi in cui la storia è stata scritta dai vinti. È stato l’ateniese Tucidide a narrare la guerra del Peloponneso vinta da Sparta; la nostra percezione delle vicende italiane tra il XIII e il XIV secolo ci deriva quasi esclusivamente dalla voce dello sconfitto ed esiliato Dante Alighieri; oggi nessuno racconta la storia di Giordano Bruno o di Galileo dal punto di vista dell’Inquisizione. Peraltro non è sempre facile stabilire chi siano i vincitori e i vinti, e in ogni caso la classificazione non è mai definitiva perché la storia concede moltissime rivincite. Tra parentesi, anche quando la storia è effettivamente narrata dai vincitori non è affatto detto che l’immagine dei vinti ne risulti danneggiata: nessun poeta troiano avrebbe potuto presentare Ettore meglio di quanto faccia Omero nell’Iliade; nessuno storico caledone avrebbe potuto scrivere un discorso contro l’imperialismo romano così bello ed efficace come quello che Tacito mette in bocca al capo dei Caledoni Calgaco. Considerati gli esempi che ho scelto forse si può concludere che la storia (o per lo meno la percezione che l’immaginario collettivo ha della storia) è scritta da chi è bravo a scrivere, vincitore o vinto che sia. Non è detto che sia un bene, perché non è detto che chi è bravo a scrivere abbia sempre ragione o sia sempre attendibile, ma è una realtà con cui dobbiamo fare i conti.
Noi ebrei siamo un esempio clamoroso di vinti che scrivono la storia, o per lo meno plasmano la percezione della storia nell’immaginario comune, specialmente per quanto riguarda l’antichità. Anzi, spesso gli stessi vincitori vivono soprattutto grazie alla memoria di noi vinti: chi parlerebbe oggi di Nabucodonosor se non avesse distrutto il Tempio di Gerusalemme ed esiliato gli ebrei? Talvolta il fatto che si narrino le persecuzioni che abbiamo subito nel corso dei millenni ci fa apparire agli occhi di qualcuno come vincitori che impongono a forza la loro narrazione, anche quando la nostra vittoria consiste nel non essere stati annientati.
Se la distinzione tra vincitori e vinti può essere molto problematica quando si parla di persone, forse la questione diventa più semplice sul piano dei valori e delle ideologie; anche qui non c’è nulla di definitivo, però il modo di narrare la storia in un certo luogo e in un certo momento storico riflette inevitabilmente una determinata visione del mondo: nell’Italia democratica di oggi si narra una storia in cui non ci sono popoli superiori e popoli inferiori, in cui il rispetto per le diversità è un valore e la violenza è un disvalore. La democrazia ha vinto, il fascismo e il nazismo hanno perso. Da questo punto di vista effettivamente possiamo dire che la storia è scritta dai vincitori. Per fortuna.
Anna Segre
(5 febbraio 2021)