Rav Abraham J. Twerski
(1930-2021)

Si è spenta questa settimana a Gerusalemme una delle menti più brillanti e seguite dell’ebraismo statunitense. È curioso e un po’ triste che in Italia la sua figura sia poco conosciuta, ma c’è sempre tempo per rimediare. Rav Twerski discendeva dalla dinastia chassidica di Chernobyl fondata dall’avo Menachem Nachum Twerski (allievo del Baal Shem Tov) e lui stesso si era formato negli studi ebraici nella nativa Milwaekee e poi a Chicago. Laureato in medicina, divenne in seguito un importante psichiatra fondando e dirigendo il centro di riabilitazione dalle dipendenze da alcool e droghe dell’università di Pittsburgh. Nella sua lunghissima vita di lavoro e impegno sociale ha scritto oltre sessanta libri che rappresentano spesso la sintesi fra un profondo radicamento nella tradizione ebraica e una continua ricerca attorno ai comportamenti sociali dell’individuo, ai suoi bisogni, ai sentimenti, ai disagi. In Italia gli unici lavori che hanno trovato sbocco editoriale sono stati quelli dedicati all’utilizzo delle strisce dei Peanuts® (Charlie Brown e i suoi amici) come strumento per indagare le criticità della vita sociale (p. es. “Su con la vita, Charlie Brown! Come affrontare i problemi di ogni giorno con l’aiuto dei Peanuts®”, Milano 2018). Scorrendo la sua bibliografia non si può non rimanere colpiti dalla grande capacità di coniugare le due sfere del sapere che Twerski controllava da maestro riconosciuto. Sono peraltro numerose le sue conferenze e lezioni che si possono ancora ascoltare sui diversi canali del web che le mettono a disposizione. Sarebbe senza dubbio importante che l’editoria italiana prendesse finalmente atto della rilevanza dei suoi insegnamenti, mettendo a disposizione anche nella lingua del Belpaese alcune delle sue opere, alle quali si sono abbeverate generazioni di statunitensi. Sono sue, ad esempio, le prime riflessioni che hanno aperto la strada a un contrasto serrato alla violenza psicologica sulle donne nel mondo cosiddetto ultraortodosso, che hanno ispirato un interessante filone cinematografico. In un’intervista del 1988 così descriveva le sue scelte: “Non riuscivo a immaginare la mia vita in qualità di organizzatore di ritualità, e ho capito che se la psichiatria metteva in atto ciò che mio padre (anche lui rabbino ndr) faceva ogni giorno, allora quella sarebbe stata la mia strada. Così mi iscrissi alla facoltà di medicina per diventare psichiatra, in modo da poter fare quello che avrei volute fare come rabbino”.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(5 febbraio 2021)