La scuola e il futuro da orientare

Imparare a conoscere le opportunità del mondo del lavoro quando ancora si sta frequentando la scuola in modo che gli studenti comincino ad avvicinarsi alle sfide del futuro. È il principio alla base dell’alternanza scuola-lavoro, attualmente denominata PCTO (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento). La pandemia ha inevitabilmente messo i bastoni tra le ruote a questa esperienza di formazione, ma non l’ha fermata, spiega a Pagine Ebraiche Vanessa Kamkhagi, referente per l’alternanza scuola lavoro nel liceo della Comunità ebraica di Milano e autrice del volume di recente pubblicazione Dall’alternanza scuola-lavoro ai PCTO. Una guida operativa (Utet). Il testo si propone di fornire ai docenti “un inquadramento teorico e normativo che possa costituire una solida base da cui avviare i progetti” di alternanza così come “una guida pratica e operativa per facilitare l’organizzazione dei percorsi e per fornire degli esempi concreti facilmente riproponibili” agli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori (ovvero la fascia di età a cui si applicano i PCTO). Per questi ultimi, spiega Kamkhagi, “i tirocini sono stati riattivati dal 5 maggio scorso. Quindi nel caso in cui le imprese hanno protocolli di sicurezza fatti come si deve, possono ospitare eventualmente dei tirocinanti. È anche vero che oggi una delle modalità più diffuse è quella online, quindi si è trattato in questa situazione di riprogettare in maniera integrata le attività. E nel libro ci sono degli esempi che si possono replicare sia in presenza sia a distanza, sia in modalità integrata”. Diverse le tematiche proposte, aggiunge la referente della Scuola ebraica di Milano nonché formatrice per De Agostini Scuola, tra cui quelle “relative alla sostenibilità, all’educazione civica o comunque alla stabilizzazione finanziaria. Quello che conta in ogni caso è ingaggiare gli studenti in questa nuova modalità. Per questo nel mio libro suggerisco alcune tecniche per rendere le attività per gli studenti più interessanti anche a distanza”. A maggior ragione in questa situazione precaria, in cui la didattica a distanza è diventata una parte obbligata della vita degli studenti, è necessario cambiare un po’ l’approccio. “Ovviamente stare davanti a un computer non è la stessa cosa che stare in classe. È molto più difficile mantenere alta la concentrazione e l’interesse dei ragazzi per cui è necessario fare lezioni di durata minore rispetto a quelle tradizionali. Quindi, a maggior ragione queste attività (legate all’alternanza scuola-lavoro) devono essere per lo più laboratoriali, in modo che possano lavorare i ragazzi, essere loro i protagonisti”. Lo sono ad esempio nel progetto “Che impresa ragazzi!”, a cui la Scuola ebraica di Milano partecipa. Un’iniziativa promossa dalla Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio, che propone agli studenti lo sviluppo di un progetto imprenditoriale e che prosegue anche in questo momento particolare di emergenza.
Kamkhagi ricorda come, nella complessità della situazione, è necessario avere uno sguardo positivo. “È vero che ci sono state tante polemiche sulla didattica a distanza. Però diciamo che siamo stati fortunati perché in un altro periodo storico se ci fosse stata una crisi di questo tipo la scuola sarebbe rimasta chiusa e basta. Invece, per fortuna, grazie alla didattica a distanza siamo comunque riusciti a ricostruire una quotidianità per i nostri ragazzi”. Dall’altro lato, aggiunge la docente, non bisogna nascondere le difficoltà, in particolare dal punto di vista emotivo. “Stare chiusi in una camera da soli, non è certo lo stesso che stare in una classe in cui c’è una rete di relazioni che si viene a costruire e che i ragazzi non vedono l’ora di riacquisire. E ovvio poi che la parte emotiva influenza l’apprendimento e penso che questa sarà la parte diciamo più difficile da ricostruire piano piano”. Per Kamkhagi il problema non saranno tanto i contenuti “quanto appunto il costruire una rete emotiva che possa spingere gli studenti a un apprendimento costruttivo”. Dunque su questo elemento sarà necessario concentrarsi. Portando ad esempio la Scuola ebraica, l’interrogativo è se il fatto di essere parte della comunità possa essere d’aiuto. “È fondamentale – sottolinea Kamkhagi – il fatto che ci sia la comunità con la scuola al centro è stato di grande supporto, anche rispetto ad altre realtà. Questo senso di appartenenza, di crescere e di vivere insieme nonostante appunto la distanza, ha aiutato i ragazzi in questo momento comunque per loro difficile”.