Analisi scorretta
Il governo che verrà
Il Presidente Mattarella, martedì scorso, rivolgendo un accorato appello alle forze politiche e annunciando che avrebbe affidato un incarico per la formazione di un Governo di alto profilo, aggiunse che questo non avrebbe dovuto identificasi con alcuna formula politica.
Considerato che l’appello è stato rivolto a tutti, c’era da aspettersi che tutte le forze politiche avrebbero risposto positivamente all’esortazione del Capo dello Stato. Evidentemente un governo così largo non potrebbe basarsi su una formula politica, ma su un programma.
Tutti i Governi, come ha giustamente notato Sabino Cassese, sono Governi politici, in quanto riecevono la fiducia delle Camere. Così come tutti i Governi si presentano al Parlamento con un programma, che di solito è il frutto delle trattative tra le forze politiche che lo hanno discusso, ovvero della formula politica che ha fatto nascere il Governo.
Il Governo Draghi, per espressa enunciazione del Capo dello Stato e immaginiamo con l’accordo del Presidente incaricato, dovrebbe però nascere senza una formula politica di base. Il suo programma non dovrebbe essere scritto come risultato delle trattative tra le forze politiche, ma come ha rimarcato lo stesso Draghi dalla sintesi che il Presidente incaricato farà delle richieste e delle proposte che i partiti che gli hanno manifestato appoggio hanno avanzato.
Draghi in queso modo ritorna alla corretta applicazione dell’articolo 95 della Costituzione che attribuisce al Presidente del Consiglio la direzione e l’unità di indirizzo del Governo, svincolandolo dai partiti.
Quando il Governo andrà in Parlamento per ottenere la fiducia saranno i partiti a decidere se concederla o meno e lo faranno sulla base del programma che il Premier avrà illustrato, e dei ministri che avrà nominato.
Da quello che possiamo capire, Draghi ha condotto la formazione dell’esecutivo in tre fasi: la prima, dove ha prestato ascolto e ricevuto le dichiarazioni di interesse a partecipare al Governo. La seconda fase, che comincia oggi, in cui presenterà a chi ha dimostrato interesse il proprio programma; la terza fase, in cui annuncerà i ministri. Alla fine si vedrà chi ci sta, e con questo viatico si potrà andare in Parlamento.
Solo così il Presidente incaricato potrà fare un Governo in discontinuità con i due precedenti di questa Legislatura, basati, il Conte I su un contratto di Governo scritto, e il Conte 2 sulla contrattazione continua tra i partiti che ne facevano parte.
Se Draghi dovesse redigere un programma d’intesa coi partiti, questo sarebbe pieno di contraddizioni, e certamente il Governo non sarebbe in grado di svolgere il compito che Mattarella gli ha assegnato.
Si ipotizza che la lista dei ministri includerà personaggi di provenienza partitica, probabilmente questo servirebbe a rafforzare la compagine governativa dando all’esecutivo una base parlametare più solida, non tanto nell’avvio, quanto nel prosieguo dell’attività di governo. Comprendiamo la preoccupazione del Presidente incaricato di coprirsi un poco le spalle, ma d’altra parte un Governo con politici di così varia tendenza potrebbe creare più di un occasione di disaccordo e quindi di immobilità dell’esecutivo. D’altra parte i ministri politici non avrebbero nel Presidente del Consiglio l’unico elemento di dipendenza, ma inevitabilmente continuerebbero a riferirsi anche ai dirigenti del proprio partito, riproponendo, in tal modo, la sciagurata situazione da cui vorremmo essere usciti.
Una riflessione a parte merita il sostegno a Draghi della Lega. Sin dall’inizio del tentativo del Presidente incaricato si è parlato di un Governo europeista che fosse perciò sorretto dai partiti che avevano votato l’esecutivo europeo guidato da Ursula von der Leyen.
La Lega, per come si è finora rappresentata, non è certo un partito europeista; alcuni suoi importanti parlamentari sostengono l’uscita dall’Euro e lo stesso segretario del partito è sempre caustico con l’Unione Europea e in particolare con questa Commissione che governa la Ue.
Ancora mercoledì scorso Salvini aveva condizionato l’appoggio a Draghi, ad alcune importanti richieste (il manenimento della quota 100, la flat tax, l’abolizione del reddito di cittadinanza, la riforma della prescrizione ecc.) che confliggono con la posizione di partenza degli altri partiti potenzialmente partecipanti al futuro Governo. All’uscita dalla sala del colloquio con Draghi nessuna di queste richieste è stata ripetuta – anche se certamente sono state reiterate al Presidente incaricato, che ne avrà preso buona nota.
Che il programma del Governo Draghi, se nascerà, sarà un programma europeista credo possiamo giurarci, e con ogni probabilità anche la Lega lo appoggerà. Ciò vorrà dire che la sua posizione sull’Unione Europea è cambiata?
In vista di un Governo delle destre, dopo le prossime elezioni politiche, è utile accreditarsi sin d’ora come un partito moderato. Ma quando dovrà sommare i propri voti a quelli di Fratelli d’Italia, l’unica formazione parlamentare che ha negato il sostegno all’iniziativa di Draghi, valutando più redditizia la coerenza sovranista, quale sarà la posizione di Salvini sull’Europa? Il capo della Lega ci ha abituato spesso alle capriole politiche. Rimane quindi il dubbio se ha ragione Andrea Orlando quando scrive, ironicamente, che Supermario ha reso in ventiquattro ore Salvini europeista, oppure è tutto un inganno.
Anselmo Calò
(8 febbraio 2021)