La storia di Noè
Domenica 31 gennaio si è svolto un interessante seminario online, organizzato dal distretto 108 Lions Club Napoli Host, dal Distretto 108YA dei Lions e dall’Editore Salomone Belforte & C., dedicato al tema “Fede e ragione di fronte alla pandemia”. L’incontro è stato organizzato in occasione della pubblicazione di un libro davvero di grande spessore e significato, edito dalla Salomone Belforte, a cura di Alberto Castaldini, intitolato Interrogarsi sul Coronavirus tra Fede e Ragione. Un volume di circa 450 pagine, nel quale sono ospitati ben quarantasette contributi, scritti da autori di diversa formazione ideale e culturale – tra cui rappresentanti ufficiali di varie religioni, dall’ebraica alla cattolica, dall’Islam al buddismo -, tutti impegnati, da diverse angolazioni culturali, nel difficile compito di cercare di decifrare il significato nascosto di questa esperienza drammatica che, da ormai un anno, ha sconvolto le nostre esistenze, modificando radicalmente le nostre abitudini e la nostra socialità, mettendo a nudo la nostra fragilità, il nostro smarrimento e la nostra impotenza di fronte ai ciechi colpi di una natura improvvisamente rivelatasi ostile, imprevedibile, crudele.
Oltre ai saluti delle diverse autorità lionistiche e di Guido Guastalla (Direttore della Salomone Belforte & C.), hanno svolto degli interventi, tutti di grande spessore, Alberto Castaldini (curatore del volume), Silvia Guastalla, il Lama Paljin Tulku Rinpoce (Monaco buddista, Fondatore e guida spirituale del Mandala centro studi tibetani di Milano e del Monastero Samtenling di Graglia Santuario [Biella]), l’Imam Yahya S.Y. Pallavicini (Presidente del COREIS, Comunità Religiosa Islamica Italiana), Rav Pierpaolo Pinhas Punturello (Coordinatore degli studi ebraici del Centro Ibn Gabirol, Madrid) e Suor Maria Gloria Riva (Superiora delle monache dell’Adorazione eucaristica).
Rimandando a una futura occasione qualche commento riguardo a quanto hanno detto gli altri relatori, e a quanto è stato scritto nel volume, ci limitiamo oggi a ricordare le illuminanti parole pronunciate da Rav Punturello (che riprendono alcune considerazioni formulate nel saggio da lui pubblicato nel libro citato), il quale ha tracciato un suggestivo parallelo tra la nostra attuale condizione di soggetti minacciati, rinchiusi, in ansiosa attesa di una ritrovata sicurezza, di un ritorno a una normale vita di relazioni, e la vicenda biblica di Noè, anch’egli minacciato dal diluvio, isolato dal mondo esterno, in ansiosa attesa di un approdo sulla terra asciutta.
L’autore si è soffermato sulla parte della narrazione del Bereshìt in cui si racconta la fine del diluvio, e il ritorno di tutti gli abitanti dell’arca – uomini e animali – a una vita sicura sulla terraferma, finalmente emersa dalle acque sterminatrici. Per verificare se nel mondo esterno siano tornate delle condizioni in grado di permettere la sopravvivenza, Noè manda all’esterno un corvo, per vedere se le acque si siano nel frattempo ritirate. Ma il corvo ritorna indietro, perché non ha trovato alcun approdo: il mondo è ancora sommerso dalle acque. Noè manda quindi una colomba, ma anche questo secondo tentativo non ha successo: non c’è ancora una possibilità di approdo. Noè attende altri sette giorni, e manda di nuovo la colomba, che però, di nuovo, torna indietro. Solo al quarto tentativo, la colomba non fa ritorno, avendo finalmente trovato della terra asciutta su cui posarsi. E Noè può finalmente uscire dall’arca e approdare sulla terra.
Rav Punturello evidenzia, nel suo contributo, il fatto che il testo biblico ripete per due volte l’espressione “terra asciutta”. La ripetizione, nota il Rav, non è casuale, perché Noè era “in piena sindrome, quella che in questi giorni di Covid 19 è stata definita come ‘sindrome della capanna’, definizione che nel caso di Noach potremmo adattare al senso di un’arca”.
Ma perché, viene da chiedersi, la fine delle terribili conseguenze del diluvio è descritta, nel libro della Genesi, in un modo tanto dettagliato, come un processo denso di incognite, di ansia e di paura? Noè, argomenta l’autore, si era ormai abituato alla sicurezza dell’arca, e il ritorno alla vita all’aperto gli suscitava un sentimento di apprensione e timore. Così come per noi, in questi giorni di virus, vediamo le nostre case come “il nostro luogo sicuro, la barriera di difesa contro ogni male”. Occorre coraggio per sostenere una prova, una guerra, ma ne occorre anche per tornare alla normalità, alla pace. L’importante è non fare finta che non sia accaduto nulla, non girare pagina con disinvoltura e noncuranza. La storia di Noè, al pari di quelle di Lot, di Giuseppe, di Giobbe (e come quella della nostra pandemia, che tanti dolori ha causato), resta la storia di un’esperienza tragica, che ha, sì, uno sbocco, ma non un “happy end”.
Francesco Lucrezi
(10 ottobre 2021)