Due Europe
Sembrano esistere due Europe. Una concreta, pragmatica, capace di affrontare con lucidità e decisione la più grave crisi sanitaria ed economica che il continente abbia attraversato a partire dalla II guerra mondiale. Un’Europa capace di proiettare i benefici effetti della sua politica economica perfino su un Paese come l’Italia, cronicamente incapace di esprimere leadership all’altezza di affrontare i problemi strutturali che si porta dietro da decenni, forse dal momento stesso dell’unificazione nazionale. Un’Europa capace di stabilire con il nostro Paese una dialettica positiva che, in questo momento ha assunto il volto di Mario Draghi.
Accanto a questa c’è un’altra Europa che conserva i tratti ormai avvizziti di un’ideologia astratta, rancorosa, incapace di comprendere l’evoluzione storica di problemi che, viceversa, vengono affrontati con utensili ormai logori e inutilizzabili.
È questa seconda Europa che si è manifestata scagliandosi minacciosamente contro un piccolo Paese balcanico, il Kosovo, colpevole di aver fatto una scelta che già altri Paesi, di ben altro peso politico ed economico, hanno compiuto: quella di stabilire rapporti diplomatici con lo Stato d’Israele e di conseguenza di aprire la propria ambasciata nella capitale dello Stato ebraico, a Gerusalemme. Stabilire la propria ambasciata nella capitale del Paese con il quale si hanno rapporti diplomatici è un atto di assoluta normalità che è compiuto da tutti gli Stati senza che ciò dia adito a controversie. Solo nei rapporti con Israele questa regola subisce un’eccezione, con la pretesa di molto Stati, in particolare di quelli appartenenti all’Unione europea, di stabilire la propria ambasciata a Tel Aviv. È una pretesa finora tollerata dal governo israeliano, ma che non ha alcun fondamento perché aprire la propria ambasciata nella parte ovest di Gerusalemme – la più grande e moderna – dove si trovano tutti gli organi di governo dello Stato e dove i rappresentanti di tutti gli Stati si devono spostare quando vogliono avere rapporti con i governanti israeliani non pregiudica la possibilità che in futuro, se e quando l’Autorità Nazionale Palestinese deciderà di scendere dal suo sterile Aventino, si possa discutere dello status della parte est di Gerusalemme.
Nel caso del Kosovo la minaccia dell’Unione europea è ancora più immotivata e grottesca. Il Kosovo non fa parte dell’Unione europea e si può facilmente prevedere che non ne farà parte ancora per lungo tempo, tenuto conto della non risolta controversia con la Serbia, Paese che anch’esso non fa parte dell’Unione europea anche se è candidato a entrarvi. Quindi l’Unione Europea si arroga il diritto di minacciare uno Stato che non ne fa parte, limitandone preventivamente la sovranità.
Ma c’è un altro aspetto che fa comprendere quanto sia arbitraria e ideologica la minaccia dell’Unione europea. Il Kosovo, che si è dichiarato unilateralmente indipendente dalla Serbia nel 2008, ha visto riconoscere tale indipendenza da moltissimi Stati, tra i quali Stati Uniti e Gran Bretagna, e da 22 Stati su 27 che fanno parte dell’Unione europea. Se l’Unione pretende una uniformità di comportamento da parte dei suoi Stati membri in materia di relazioni diplomatiche, perché non impone ai cinque Stati che non l’hanno fatto (Spagna, Cipro, Romania, Slovacchia e Grecia) di riconoscere il Kosovo? Se ce ne fosse bisogno questa è la prova che l’atteggiamento dell’Unione europea nei confronti di Israele è dettato da un’ostilità preventiva che poggia esclusivamente su basi ideologiche. Un’ostilità sempre più ingiustificata se si pensa che il Kosovo è uno Stato a maggioranza musulmana e che l’apertura di rapporti diplomatici con Israele può essere inserito nel generale processo di pace tra lo Stato ebraico e un numero crescente di Stati dove la popolazione è prevalentemente musulmana.
Finora si è parlato di Unione europea a proposito dell’atteggiamento assunto nei confronti del Kosovo. Ma bisogna essere più precisi: in realtà la responsabilità di questo atteggiamento è del cosiddetto Alto rappresentante per gli affari esteri, chiamato dai giornalisti Mister Pesc. Si tratta in realtà di un organo che da quando è stato istituito ha manifestato una ben scarsa capacità di iniziativa sulle grandi questioni internazionali per la semplice ragione che i Paesi membri dell’Unione europea continuano a considerare la politica estera materia della propria sovranità nazionale. Non è un caso che questo ruolo sia stato affidato a figure di secondo piano: prima all’italiana Federica Mogherini, la cui inadeguatezza è apparsa evidente in tutto il corso del suo mandato, e poi allo spagnolo Josep Borrell. Ciò non toglie che scelte come quella compiuta nei confronti del Kosovo non finiscano per gettare una luce negativa su tutta la politica dell’Unione europea.
Valentino Baldacci