Ricerca scientifica e ambiente,
chiavi per indirizzare il futuro

Da gennaio 2021 rappresento, in qualità di presidente, l’associazione Italian Council for a Beautiful Israel (ICBI), corrispondente italiana dell’associazione israeliana fondata da Shimon Peres nel 1968 e indirizzata alla diffusione di una crescente sensibilità verso le tematiche ambientali ed ecologiche.
Da allora, in Israele, collaborano volontari di ogni schieramento politico e di tutte le fedi religiose, animati da comuni ideali e sulla base della consapevolezza che il pianeta che abitiamo sia lo stesso per tutti, così come l’aria che respiriamo. In Italia, abbiamo promosso e organizzato numerose iniziative di divulgazione scientifica e culturale su tematiche ambientali, in collaborazione con prestigiose Università e istituzioni scolastiche del Comune di Roma.
La nostra attività in ICBI è inscindibile da quella mia lavorativa: sono infatti fisico, ricercatore, e mi occupo principalmente di magnetismo ambientale e di proprietà magnetiche delle polveri sottili da inquinamento atmosferico presso il Laboratorio di Paleomagnetismo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, infrastruttura di ricerca di riferimento per l’Europa nell’ambito delle Scienze della Terra.
Ricerca scientifica e ambiente debbono costituire un connubio fondamentale su cui indirizzare l’azione culturale, economica e politica del mondo che si andrà a delineare a seguito della crisi pandemica.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale in cui la ricerca, dopo essere stata per anni bistrattata, specialmente in Italia, con continui tagli ed enormi difficoltà nel reclutamento dei giovani e nello sviluppo delle infrastrutture di ricerca, è tornata a essere la chiave a cui rivolgere, più o meno consapevolmente, le nostre stesse aspettative di vita e di progresso socio-economico.
Questa improvvisa ribalta ha per certi versi modificato, in tempi rapidissimi, il rapporto tra conoscenza scientifica e popolazione, stimolando noi ricercatori a imparare il mestiere della comunicazione e della divulgazione, abbattendo la torre d’avorio in cui noi stessi ci siamo spesso posti per anni, ma, per altri versi, banalizzando il processo – lungo e tortuoso – di acquisizione della nozione scientifica, creando, in tante persone, e a caro prezzo per la società, l’illusoria certezza di poter fornire opinioni, o addirittura prendere decisioni, a seguito della lettura di qualche trafiletto ricavato da una pagina internet.
Il consumismo digitale, la rapida fruizione e l’altrettanto rapida dismissione di contenuti e oggetti ha pervaso le stesse carriere di noi ricercatori, costringendoci a produrre sempre più carta stampata, pardon, pdf, per non vedere ridotti i propri indici bibliometrici e le chances di accesso a progetti finanziati di ricerca. Il tutto, a scapito degli ingredienti principali per svolgere questa attività, tempo e dedizione, veri protagonisti delle idee più innovative che concorrono al progresso.
Questi aspetti hanno irrimediabilmente impresso una svolta nel mondo dell’editoria scientifica: vengo dagli anni ’90, quando gli articoli venivano pubblicati in cartaceo e spediti ai ricercatori più eminenti del settore, affinché li divulgassero e li iniziassero a citare. Quel mondo non esiste più, e l’editoria in formato elettronico ha innescato una lotta senza quartiere tra gruppi editoriali di tradizione consolidata e altri relativamente nuovi, che pubblicano a pagamento e in modalità open access, in un continuo e contraddittorio dualismo tra processi di revisione accurati ma spesso troppo lenti, rispetto a tempi d’uscita rapidissimi dovuti a controlli non sempre accurati.
A tale proposito, si pensi alla recente caduta di stile di una prestigiosa rivista scientifica che ha pubblicato, e poi ritirato, un articolo sull’utilizzo di amuleti in giada per prevenire il Covid-19; parimenti, nel mio specifico settore, si sono susseguiti articoli fulminei sulla possibile correlazione tra Covid-19, inquinamento atmosferico e aspetti epidemiologici, talvolta contrastanti o prematuri, persino divulgati su apposite piattaforme prima che fossero sottoposti a controllo peer review, contando sul fatto che, anche se confutati, avrebbero comunque vissuto la loro giornata di visibilità sulle testate internazionali.
Potenza di calcolo, uso talvolta forzato della statistica, spesso a scapito dell’individuazione della causalità dei fenomeni fisici, nonché modellistica sempre più estrema, stanno probabilmente riducendo l’impatto delle scienze laboratoriali, con il loro bagaglio di idee e realizzazioni pratiche, spesso prototipali, che hanno dato forma e sostanza al metodo sperimentale, per poi riversarsi nel mondo comune, talvolta prepotentemente, come accaduto per posta elettronica, internet e moderni sistemi di videoconferenza.
Nonostante queste contraddizioni, modulate dalla vorticosità del mondo in cui viviamo, l’attuale unanime consenso rivolto a Israele in merito alla gestione pandemica, per certi versi spiazzante e inedito, ci dimostra che, nei momenti topici dell’esistenza umana, lo sviluppo scientifico e tecnologico costituiscono le vie maestre a cui ci si deve rivolgere per imprimere una svolta risolutiva, indipendentemente da ideologie sedimentate nel tempo e deprivate di ogni possibile contenuto significativo.
Concludo con la speranza che su “Pagine Ebraiche” sia sempre più vivo il dibattito tra Scienza ed Ebraismo, specialmente in merito alla vocazione ambientalista ante litteram di cui è permeata la nostra cultura, e da cui derivano gli aspetti più visionari e innovativi propri dello Stato d’Israele; per questo, a nome dell’associazione che rappresento, invito tutti a una partecipazione sempre più numerosa e propositiva alle attività di ICBI, nel comune intento di favorire gli scambi con Israele sulle tematiche ambientali.

Aldo Winkler

*dedicato alla memoria di Gianni Milano z.l.