Gli ebrei del Golfo fanno rete
Bahrain, Kuwait; Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti. Sono i sei Paesi dell’area del Golfo Persico dove si registra oggi una presenza ebraica. Si va dal singolo nucleo familiare a realtà assai più complesse e strutturate. Una presenza che, sull’onda degli Accordi di Abramo e dei successivi trattati, sta gradualmente crescendo d’importanza e visibilità.
È la premessa che ha portato a un’importante svolta, annunciata in queste ore: l’istituzione di una Association of Gulf Jewish Communities (AGJC) con funzioni comuni di rappresentanza e l’obiettivo di creare sinergie interne ancora più strette dal punto di vista educativo, cultuale, della casherut.
Una vera e propria rete transnazionale. Con al vertice un presidente, l’uomo d’affari bahreinita Ebrahim Daoud Nonoo. E un rabbino capo, il libanese rav Elie Abadie, recentemente insediatosi negli Emirati.
La storia ebraica nella regione, ricorda l’AGJC sul suo sito nuovo di zecca, inizia alla fine dell’Ottocento con l’arrivo dei primi ebrei in Bahrain. Da allora, “comunità ebraiche di varia entità si sono stabilite negli altri paesi del Golfo, inclusi gli Emirati Arabi Uniti dove oggi si trova il nucleo più importante di tutti”.
Ciascuna comunità, si annuncia, manterrà una forma di indipendenza. Ma insieme, viene sottolineato, tutte e sei “lavoreranno per condividere l’obiettivo e la visione di un ebraismo sempre più prospero in quest’area”.
Nel simbolo dell’associazione a incontrarsi in modo suggestivo sono la parola ebraica (Chai) e quella araba (Hayat). Entrambe significano “vita”.
(15 febbraio 2021)