Il doppio sogno di Levi
Nel suo funzionamento normale il sogno fa da cuscinetto tra il reale e la realtà ordinata dal principio del piacere e dalla catena delle rappresentazioni. In tal modo permette, per quanto camuffata una messa in scena del mondo interno. Il sogno attira il reale in uno spazio di finzione, è come se lo mettesse su un palcoscenico, ne prende le misure mentre lo assume e contemporaneamente crea un senso possibile. Nel processo di drammatizzazione onirica, la coscienza resta non del tutto aderente alla percezione visiva degli enti rappresentati, al punto che il sognatore, come sottolinea Freud, spesso sa bene che in fondo si tratta di un sogno. Talora dopo essersi risvegliati per un bisogno impellente, si torna consapevolmente a letto per completare il sogno e dargli magari l’esito più desiderato. Col risveglio il soggetto potrà ripristinare il funzionamento delle sue consuete rappresentazioni, secondo la logica del processo secondario, e intorno a esse potranno ricostituirsi pienamente le funzioni della coscienza.
Rispetto a questo funzionamento, l’incubo rappresenta un’anomalia che spezza le difese intrapsichiche, rivelando un fondo traumatico intollerabile che produce nel sognatore un senso di pietrificazione. Il soggetto non sa di sognare, si percepisce anzi con una chiarezza assoluta tutto all’interno della scena onirica, dove si ritrova sdoppiato tra la percezione di un corpo inerte – un corpo inchiodato all’impossibilità di un movimento salvifico- e la piena coscienza di uno sguardo esterno e irreale: non c’è urlo, non c’è parola, il soggetto è catturato in un punto di sospensione infinita e insostenibile.
Nel sogno di Levi che “ad intervalli ora fitti, ora radi”, lo insegue, come un messaggio d’oltre tomba, vi è “un sogno dentro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza”. Il sogno è collocato alla fine di un’opera pubblicata due decenni dopo Se questo è un uomo. La Tregua è del 1963. La prima edizione di Se questo è un uomo, rifiutata dalla Einaudi, è del 1947. Due decenni che hanno segnato profondi e positivi cambiamenti nella società italiane e nella cultura, segnati da ottimismo e da attese positive sul futuro, in cui il doppio sogno, collocato in conclusione di un racconto incentrato sul ritorno alla vita normale, rimanda alla poesia Shema’, posta in apertura di Se questo è un uomo.
Il sogno con cui si conclude La Tregua, che non per caso reca questo titolo, si apre con la scena di un ritorno a casa. Che cosa c’è di più bello del ritorno a casa. Ma l’aspetto gioioso del ritorno è segnato da una impossibilità irriducibile. Nel sogno Levi è a tavola “con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde” . Un ambiente “placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena”. Ma egli prova “una sottile e profonda angoscia”, la “sensazione di una minaccia che incombe”. A “poco a poco o brutalmente”, al procedere del sogno e ogni volta in modo diverso, “tutto cade o si disfa”, lo “scenario”, le “pareti” e “le persone” e “l’angoscia si fa più intensa più precisa”. Tutto è “avvolto nel caos” ed egli è al centro di “un nulla grigio e torbido”. Sa anche di “averlo sempre saputo”. È “di nuovo nel Lager”. Il resto era solo “breve vacanza, o inganno dei sensi…”. Una conclusione amara preannunciata con una poesia del ’46, collocata in apertura del saggio, come fosse una mezuzah per il lettore più attento:
“Sognavamo nelle notti feroci/ sogni densi e violenti/Sognati con anima e corpo/ Tornare, mangiare, raccontare./ Finché suonava breve e sommesso/ Il comando dell’alba:/ Wstazać / E si spezzava in petto il cuore.”
“Ora abbiamo ritrovato la casa ritrovato la casa, il nostro ventre è sazio. Abbiamo finito di raccontare. È tempo. Presto udremo ancora/ Il comando straniero: Wstavać”.
David Meghnagi, psicanalista