Spuntino – Pugni chiusi
L’Eterno incarica Mosè di parlare con i figli di Israele affinchè “prendano per Me un’offerta,” letteralmente: “ve-yikchù Lì terumà” (Es. 25:2). Rashì commenta che “Lì” (= per Me) va interpretato come “LiShmì” (= in Mio nome). In che senso? Secondo Rabbì Chayim Vittàl il nome di D-o va tenuto a mente ogni volta che si fa un’offerta. Questo può essere fatto attraverso un esercizio mnemonico collegato alle quattro lettere del tetragramma. La prima (lettera Yud) rappresenta la moneta, il soldo. La seconda (lettera He, il cui valore numerico è cinque) è la mano (con riferimento alle dita) destra del donatore. La terza (lettera Vav) è il braccio (teso nel gesto di dare). La quarta (lettera He) è la mano di colui che riceve la tzedakà. Se, come spesso accade, il destinatario non è presente e l’offerta transita, ad esempio, da un bossolo di raccolta, allora è buon uso di passare i soldi dalla mano destra alla sinistra prima di depositarli, proprio per completare la simbologia del tetragramma a cui, come detto, ogni donazione va dedicata. In questo modo bisognerebbe procedere anche per il mezzo siclo (equivalente al valore di dieci grammi d’argento, oggi poco meno di €7.5 o ₪29) che si usa elargire in questi giorni, tra il capomese di Adar e Purim. Ma come si spiega l’uso del verbo prendere nel versetto cioè “ve-yikchù?” Non sarebbe più appropriato il verbo dare (“ve-yitnù”) nel contesto di un’offerta? Una risposta è che bisognerebbe avere con sè sempre pronta almeno una moneta affinchè possa essere “presa” da (invece che “data” a) un indigente, con la massima discrezione, senza metterlo in condizione di elemosinarla. Forse però la scelta del verbo è legata all’istinto umano secondo cui tutto ci è dovuto. Si pensi ad esempio ai neonati che stringono i pugni nell’atto di afferrare qualcosa, senza mollarlo. Questa predisposizione naturale è resa bene dalla seguente storiella. Tizio, Caio e Sempronio si trovano in barca. Improvvisamente Tizio cade in acqua e comincia a dimenarsi invocando aiuto. Caio gli allunga un braccio gridando “Dammi la tua mano!” ma lo sventurato Tizio continua a dimenarsi. Sempronio si fa subito avanti e urla “Prendi la mia mano!” E così riesce a salvare l’amico tirandolo a bordo. Sapendo che esiste una propensione a prendere più che a dare dobbiamo rilasciare i pugni chiusi e mettere i bisognosi in condizione di ricevere la nostra tzedakà senza platealità.
Raphael Barki
(18 febbraio 2021)