La specificità dell’antisemitismo
Le diverse forme di ostilità e di intolleranza nella storia delle civiltà, presentano non pochi punti di contatto che coinvolgono i meccanismi primari di funzionamento dei processi mentali, che da angolature diverse sono stati oggetto di studi specifici e comparati dalle singole discipline che se ne occupano. Si tratta però di fenomeni e processi distinti non sempre assimilabili, né sovrapponibili, pena il rischio di banalizzazioni e arbitrarie ricostruzioni. Tale aspetto è particolarmente rilevante per la creazione di buone pratiche sul piano culturale e formativo, in ambito comunicativo, ma anche in quello giuridico, se si intende restare in linea con gli sviluppi della giurisprudenza europea contro il negazionismo della Shoah e le manifestazioni di odio antiebraico.
L’antisemitismo presenta una specificità irriducibile ad altre forme di intolleranza, di odio e di razzismo, da cui non è possibile prescindere. L’antisemitismo è una spia dei pericoli che incombono su tutta la società, sulla sua tenuta democratica, della coesione sociale e della convivenza pacifica fra le persone. L’antisemitismo ha una storia millenaria e “globale” con ramificazioni diverse che hanno purtroppo investito ogni ambito e che risultano sedimentate nel linguaggio.
Una storia di millenni che affonda le sue radici nel processo di formazione della civiltà religiosa occidentale e di quella islamica, con molteplici sfaccettature radicate nel pensiero religioso e nel linguaggio, nelle ideologie e nei miti, nell’arte e nella letteratura e che si sono purtroppo “arricchite” negli ultimi decenni anni di vettori ideologici legati a costruzioni ideologiche e politiche che hanno investito in forme diverse le rappresentazioni della guerra fredda, del conflitto mediorientale e dei processi di decolonizzazione. Per non parlare dei processi di radicalizzazione antisemita di matrice islamista, i cui pericoli sono stati per lungo tempo sottovalutati dalle autorità europee (si pensi ai gravi sviluppi dell’antisemitismo in Francia negli ultimi due decenni, con il conseguente esodo di migliaia di cittadini ebrei che non si sentono più al sicuro). Nel “nuovo antisemitismo” le immagini negative che un tempo avvolgevano gli Ebrei e l’Ebraismo sono state trasferite sullo Stato degli Ebrei. Le immagini, gli archetipi e i simboli sono gli stessi. Il falso storico dei “Savi di Sion”, prendeva lo spunto da un evento storico interamente falsato e trasfigurato. L’evento “reale” era il primo Congresso sionista tenutosi a Basilea del 1897, con cui in risposta all’ondata di antisemitismo in Europa si affermava il diritto degli ebrei ad avere un proprio Stato.
Nella convergenza del vecchio antisemitismo con le sue nuove forme, l’odio antiebraico e la delegittimazione dell’esistenza di Israele, possono essere falsamente declinati come “antirazzismo” e “antimperialismo” e “anticolonialismo”. In questa perversa gioca, lo Stato degli Ebrei giudicato secondo criteri che non si applicherebbero a nessun altro Stato, diventa l’Ebreo degli Stati, su cui rovesciare le immagini negative che un tempo erano rivolte agli ebrei come minoranze religiose. Non è in discussione il diritto alla critica di questo o quel governo, che è il sale della democrazia. Sono in discussione la delegittimazione e i doppi standard con cui vengono giudicate in una certa cultura le scelte del governo israeliano. Per non parlare della demonizzazione.
Condannare l’antisemitismo classico nelle sue forme religiose e razziste è culturalmente più facile. Sappiamo da dove viene e soprattutto dove conduce. Più difficile appare fare i conti con un antisemitismo di tipo “nuovo” che ha come sfondo la demonizzazione di Israele e la delegittimazione della sua esistenza, con la falsa rappresentazione delle immagini delle vittime di ieri nei “carnefici di oggi. Non è qui in discussione il diritto dovere alla critica di questo o di quel governo israeliano. La libertà di pensiero è il sale della democrazia. Sono in discussione le forme e la logica che le sorregge, con le conseguenze che ne derivano. Affermare come per esempio alcuni fanno, che gli arabi non potrebbero essere “antisemiti” perché sono essi sono “semiti”, è la dimostrazione purtroppo di quanto i pregiudizi razzisti abbiano fatto strada radicandosi nelle rappresentazioni e autorappresentazioni culturali. Il termine antisemita, è bene ribadirlo, è un’invenzione dell’antisemitismo di matrice razzista, che ha come sfondo la confusione e sovrapposizione di nozioni diverse di lingua, “razza” e cultura.
La lotta all’antisemitismo in qualunque forma esso si manifesti, non è come taluni credono, per errore o per pregiudizio e odio mascherato, un privilegio accordato alle minoranze ebraiche rispetto ad altri gruppi sociali, nazionali e religiosi. Per le sue peculiarità storiche e culturali, politiche e religiose rispetto ad altre forme di intolleranza e di persecuzione, e per l’immane tragedia della Shoah, e la lotta all’antisemitismo è una sfida imprescindibile per l’intera civiltà umana.
David Meghnagi, psicoanalista