La cultura e l’uomo d’oggi
“Cultura è emancipazione. È ancora vero? I nuovi media culturali e le trasformazioni del sapere”. Questo l’accattivante titolo della tavola rotonda in remoto organizzata il 17 febbraio scorso da Chiesa Evangelica Valdese, Centro Culturale Protestante e Comunità Ebraica di Torino come momento di riflessione comune in occasione del 173° anniversario dell’emancipazione valdese ed ebraica. “Sapere aude” (osa essere saggio, osa conoscere) e l’illuminismo come “uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso” erano il celebre punto di partenza kantiano lanciato con convinzione, ma anche con qualche dubbio legato alla complessità/contraddizione contemporanea, dallo storico e studioso dei media Peppino Ortoleva ai quattro relatori, che da prospettive differenti hanno offerto risposte positive, variegate, ma a loro volta individuabili come problemi ancora aperti nella realtà dei nostri giorni. L’esperta in teoria dei media e cultura visuale Chiara Simonigh (Università di Torino) coglie lo spessore innovativo del fatto culturale, ma anche l’enorme portata delle trasformazioni intrinseche recate dai media e dalla loro evoluzione: l’identità di medium e messaggio, la struttura del “villaggio globale” individuate da Marshall McLuhan sono passaggi inevitabili che elaborano in proprio contenuto e conoscenza. Il semiologo e storico dell’ebraismo contemporaneo Ugo Volli (Università di Torino) conferma il potere liberatorio della conoscenza, ma è molto critico nei confronti della prospettiva esclusivamente universalistica di Kant, rivendicando in chiave multiculturalista l’azione comune e la la reciprocità delle tradizioni culturali particolari quale – tra le altre – quella ebraica, capaci (come insegnavano Leo Pinsker ed Eliezer Ben Yehuda) di produrre impensabili autoemancipazioni, politiche culturali e linguistiche. Rav Ariel Di Porto, rabbino capo della Comunità ebraica di Torino, coglie le enormi potenzialità di circolazione culturale – ebraica, nello specifico – e dunque di liberazione intellettuale insite nella comunicazione a distanza e nella diffusione globale di testi e commenti possibili grazie a internet, rimandando con forza al valore per l’ebraismo esclusivo e irrinunciabile della parola, orale e soprattutto scritta – nella sua formulazione più completa, a partire dalla Torah, “il testo” per antonomasia. Antonio Loprieno, egittologo presso l’Università di Basilea e Presidente di All European Accademies di Berlino, individua la cultura come strada di emancipazione che in Occidente ha seguito nell’epoca moderna i diversi modelli accademici (etico-pedagogico in ambito tedesco, economico nella società anglosassone, tecnico-ingegneristico nel milieu francese dell’école politecnique), privilegiando dal Cinquecento in poi – tramite la rivoluzionaria invenzione della stampa e la conseguente massiccia divulgazione della Bibbia – l’espressione della scrittura su quella legata all’immagine, che almeno sino al Novecento ha circolato con minore frequenza.
Spunti interessantissimi e stimolanti, ma forse la domanda posta nel titolo dell’incontro è rimasta senza una effettiva risposta rispetto al mondo della nostra quotidianità contemporanea. Proviamo a piegarci sull’oggi e sui riflessi attuali della conoscenza.
Innanzitutto, molto dipende dai termini, come giustamente sostiene Volli. Cosa intendiamo per “cultura”? Cosa intendiamo per “librazione/emancipazione”? Alla base, cultura non è esibizione di superiorità e compiacimento di sé, non è “culturismo” o semplice coltivazione, ma contenuto anzi visione del mondo in grado di rivelare aspetti del reale – del pensiero – della storia – dell’arte, dalla provenienza più diversa, individuale o collettiva. È un conoscere in profondità nel passato e nel presente, con uno sguardo aperto al futuro. Liberazione, poi, è uscire da una condizione di schiavitù, superare il condizionamento recato da altri o da altro per trovare libertà come pienezza di sé, autonomia in senso etimologico (la propria legge interiore), a livello individuale e sociale. In questo senso, liberazione nel pieno significato del termine fu per noi – come singoli ebrei e come popolo – quella dalla schiavitù d’Egitto.
La cultura come Weltanschauung aperta e profonda porta effettivamente alla libertà, intesa come vero superamento della pressione/oppressione altrui e ritrovamento di sé.
E qual è oggi la situazione da questo punto di vista? La cultura vera, viva e radicata, esiste; ma è rara e la si coglie con difficoltà, in mezzo a tante falsità e superficialità. Mass media sempre più perfezionati e tecnicamente oltre ogni presumibile ostacolo “naturale” ci immergono però spesso in un mare di fake news o in sintesi piatte e banali, comunicando pure, vuote nozioni e ponendoci di fonte a una scarsa capacità elaborativa. A questo livello, la liberazione è solo apparente. Anche in Occidente, svincolati nel sistema liberal-democratico da oppressioni personali e sociali (però solo in quest’area, e in modo sempre più limitato stante l’attuale debolezza delle democrazie), siamo schiavi di modelli/ritmi di vita/stili comportamentali/mezzi tecnologici dominanti/direzioni mentali obbligate/atteggiamenti “politicamente corretti”: siamo in realtà iper-condizionati. E questa non è libertà nel senso autentico e interiore del termine.
Come è possibile ritrovare una cultura come fatto autentico, capace di “liberare” cioè di produrre senza impedimenti la nostra umanità e quindi di emanciparci da condizionamenti? Ogni cultura aperta crea spazi di libertà e liberazione, l’ebraismo fra le altre. Certo, il punto da cui parte nella sua analisi Rav Di Porto è centrale: la diffusione, la conoscenza di base, la discussione dei testi oggi disponibili per tutti. L’essenziale è comunque andare oltre; consapevolezza, rispetto della tradizione, osservanza delle mitzwot, legame con la nostra storia e identità, unione interna nell’apertura agli altri sono nell’ambito dell’ebraismo strumenti efficaci di liberazione. In particolare, e forse più degli altri aspetti, liberatorio mi pare lo Shabbat: contemporaneamente esaltazione del divino attraverso il creato e dell’umano capace di coglierlo; capacità di andare oltre e sospendere il condizionamento dei meccanismi strumentali della nostra esistenza.
L’incontro fra culture diverse intensamente vissute può rappresentare oggi una possibile strada per la liberazione?
David Sorani
(23 febbraio 2021)