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Verona e il regime di Salò

Il libro di Olinto Domenichini sui giusti della Questura e le persecuzioni razziali a Verona 1943-1945 (Le ricerche hanno dato esito negativo, Cierre, 2021) merita di essere segnalato per le ricche fonti archivistiche che presenta e il quadro che ci restituisce non riconducibile solo alla storia della città veneta dove si assiste a un paradosso. In una città dove il controllo della Rsi era più stringente il numero degli ebrei deportati fu tutt’altro che elevato. La storia dell’antisemitismo di Salò è fatta di ombre e di luci. Domenichini si è trovato nella condizione invidiabile di disporre di una mole di documenti che in altre città del nord non si è conservata. I protagonisti del libro, i funzionari di cui si discorre (Masiero, Gagliano, Costantino, Sena) offrono uno spaccato della realtà tragica di quei mesi che non si presta ad alcuna generalizzazione. Non erano ispirati da bontà evangelica o da un’opposizione politica consapevole, ma reagivano in nome di sentimenti forse più ingenui e apolitici. Il libro ha il solo difetto di attribuire a queste persone la qualifica di Giusti, patente che non sta allo storico validare come abbiamo in più occasioni avuto modo di ripetere in questa rubrica. Per il resto emerge un quadro molto più sfumato di quello che abitualmente conosciamo dei mesi della Rsi. Ne viene fuori innanzitutto la cifra del cinismo e dell’astuzia che in quei mesi si traduceva in formule burocratiche tipo quella che dà il titolo a questo libro, da mettere accanto alla memorabile espressione dei funzionari di confine che a Ventimiglia scrivevano sui documenti degli ebrei stranieri confluiti alla frontiere, “Favorire al massimo l’esodo” allo scopo di levarsi d’impiccio una questione rovente e consegnarla ai francesi. Sono formule irritanti eppure capaci di fotografare meglio di altre l’esperienza di quei mesi. Talvolta ipocrisia, talvolta calcolo di opportunità, talvolta un generale spirito di tolleranza per il genere umano, capacità di non oltrepassare una certa soglia (a Verona, per esempio, impedire l’arresto di bambini). Domenichini aggiunge elementi supplementari al completamento di un quadro che nei mesi dell’occupazione non fu tipico della sola Verona (Baiardi aveva già osservato atteggiamenti analoghi con le carte della questura a Firenze). Sotterfugi, moduli stampati e compilati con astuzia, ambiguità volte a confondere le autorità, con il risultato di salvare molte vite umane con l’aiuto degli stessi vincoli della burocrazia e della legislazione razziale. Sarebbe un peccato se questo libro e i documenti che pubblica sfuggissero alla nostra osservazione critica e ci impedissero di avvicinarci all’enigma di quelle ore.

Alberto Cavaglion