L’intervento del rav Disegni
“Ottimismo ebraico
forgiato dalla consapevolezza”

Se è vero che le nostre feste dovrebbero essere come oasi riposanti lungo l’asprezza del nostro cammino, che ci rinfranchino e ci facciano sicuri del nostro progredire, non è male che noi ne ripensiamo l’intimo significato. La festa di Purim si potrebbe definire la festa dell’ottimismo. Ed è veramente però uno strano contrasto, che possa parlarsi d’una festa dell’ottimismo, in momenti gravi come quelli che si stanno passando e che indurrebbero quasi a convalidare l’osservazione già fatta da studiosi di psicologia, che cioè l’anima ebraica è invece malata di pessimismo. Eppure malgrado le dolorose vicende del momento che vorrebbero convincerci che molti di noi abbiano acquisito l’ereditarietà di una tale malattia, pure invece nella realtà l’anima ebraica in genere è pervasa da un senso ottimistico della vita… ma intendiamoci, l’ottimismo ebraico non è quello consueto alle anime semplici, in genere primitive, che non hanno l’orrore del male perché ne ignorano l’esistenza. Questo è l’ottimismo della giovanilità spensierata, per essenza fragile e caduco, la prima esperienza del male lo spezza e lo annienta. L’ottimismo ebraico è forgiato dal dolore, e dalla consapevolezza torturante di tutte le più squallide realtà. L’anima nostra non è semplice, è invece terribilmente complessa per virtù originaria, e per vicenda di destino che l’ha messa a contatto colla vita e coi dolori di tutte le genti! Noi già conosciamo l’orrore di tutti gli abissi e lo spasimo di tutte le cadute, nessun male ci giunge inatteso, o peggiore dell’immagine che ce ne fossimo creata, perché la nostra esperienza della realtà ci ha reso accorti, e ci ha insegnato tutta la durezza delle conseguenze, che saranno per tener dietro alle nostre azioni che ci allontanino dal fine. Eppure malgrado tutto ciò, anzi appunto per tutto questo, noi siamo e rimaniamo incredibilmente ottimisti. Tutto il nostro sistema spirituale è dominato da quel senso di ottimismo acceso dalla speranza. Laddove altri hanno proiettato nel remotissimo passato l’età dell’oro, a cui si appunta desolato il nostalgico rimpianto, noi soli abbiamo saputo concepire quella sublima idealità messianica, che proietta nell’avvenire la sicurezza del trionfo del bene. E qui unicamente sta la scaturigine prima di tutta la nostra indomita energia vitale. E un capovolgimento completo delle ordinarie valutazioni, quanto più urge l’asprezza pungente del dolore reale, presente tantopiù per contrasto sicura, vicina, reale si delinea nella nostra mente l’immagine d’una futura pace d’una duratura felicità. Se oggi è giorno di dolore, di sconfitta, di rovina, domani sarà certamente giorno di letizia, di gioia, di bontà. Perché? Questo il sentimento ottimistico non se lo domanda, sarà perché sarà, il vero ottimismo non ragiona, crede. Può esservi tutta l’apparenza della ragionevolezza contro di lui, non deflette per questo. Il vero ottimista ha il coraggio della follia. Saremo domani nel bene, saremo felici perché siamo noi, perché infine sono venticinque secoli che si gettano i purim, cioè le sorti, per fissare metodicamente il giorno della scomparsa dal mondo d’Israel, e sono 25 secoli che Israele il giorno di Purim fa baldoria (un solo giorno all’anno), il millenario sempre giovane Israele ha la sicurezza che il custode di Israele non dorme e non sonnecchia שומר ישראל הנה לא ינום ולא ישן. Questo è il credere nella propria stella, nel proprio destino, o diciamolo chiaro e netto è il credo ebraico nel Dio di Israele. La moderna pedagogia americanizzante a base di suggestione dovrebbe sapere di avere un così mirabile precorrimento, nell’educazione della volontà ebraica. Chi crede nel proprio immancabile destino, potrà soggiacere alle disgrazie dell’oggi, ma è certo di rialzarsi domani, avrà avuto frattanto la virtù di attendere… Perché mentre l’ottimismo primaverile degli inesperti non sa la forza della pazienza, il maturo ottimismo ebraico è soprattutto materiato di pazienza, di attesa sempre virile. L’attesa paziente ebraica è una delle più grandi meraviglie della storia. Per essa non esistono i secoli né il volgere delle generazioni. È questo il segreto di quel fenomeno così tipicamente ebraico che fu il marranesimo; vivere per secoli camuffati da non ebrei, conservando sempre immutata la propria psiche ebraica, in una tensione continua di tutte le proprie energie. Coll’atteggiamento ottimistico del nostro spirito sul nostro domani, cerchiamo quali insegnamenti utili per noi e per i nostri figli possiamo ritrarre dagli avvenimenti storici, che hanno dato origine a questa ricorrenza festiva. La festa di Purim ci richiama un episodio storico pauroso e pericoloso per una così vasta diaspora ebraica qual era quella di Persia! Episodio terrificante risoltosi poi a fine lieto, per l’intervento di quella mano misteriosa, che sempre è apparsa nei momenti più critici, in cui sembrava che Israele dovesse esser sommerso completamente! C’è da chiedersi se il fatto non sarebbe accaduto ove i principali protagonisti del dramma, Ester e Mardocheo, fossero stati meno ambiziosi, più coscientemente ebrei… Se fossero stati meno cupidi di onori e di dignità, in un ambiente che non poteva essere il loro ambiente, non sarebbe certamente passato sulla loro gente e sulle loro teste quell’uragano che avrebbe potuto avere conseguenze di distruzione completa. I secoli è vero sarebbero rimasti senza la gioia del Purim e senza la lezione di quest’avventurosa vicenda, ma la gioia dei Purim è passeggera tanto da esser divenuta proverbiale delle allegrie caduche, che tramontano presto, e hanno poca consistenza; e la lezione – ahimè! – la lezione pare abbia servito così poco! In ogni secolo e anche particolarmente ai giorni nostri, quest’oblio del proprio essere e del proprio dovere, queste sfrenate ambizioni, questa cupidigia degli onori, questa smodata vanità di marca genuinamente ebraica hanno dati frutti di enorme dolore, scatenate le invidie, le riazioni, gli odi implacabili! Mentre alcuni ebrei hanno creduto di poter rigettare di se stessi solo una parte, o di non essere riconosciuti sotto la maschera che ne doveva nascondere il vero volto, o sotto il velo delle loro negazioni, o reticenze, hanno dovuto poi convincersi che il sacrificio era insufficiente, e avrebbe dovuto essere se mai completo e totale (e chi sa se sarebbe neppure servito) e che l’antisemitismo è aumentato dal processo di degenerazione non solo purtroppo delle classi elevate, come generalmente si ritiene, ma anche di quelle medie e basse! E al solito la storia ha sempre dei ricorsi! Riportiamoci al momento su cui accade l’avvenimento di Purim. Il ceto medio e la popolazione ebraica della Persia rimangono nella storia un poco nell’ombra! Solamente il midrash alla Meghillà di Ester ne rivela a modo suo qualche aspetto poco edificante: “18500 ebrei della capitale, esso narra, si recarono al luogo del convito reale, mangiarono e bevvero e si ubriacarono in modo sconcio”; la corruzione dei costumi, l’abbandono delle idee e delle norme della vita ebraica appaiono così radicali al midrash da richiedere come naturale misura di giustizia la condanna che Dio fa di quella gente! Aman è quindi secondo la filosofia della storia qual è intesa ebraicamente lo strumento d’un atto di giustizia superiore, che deve ricondurre gli ebrei alla coscienza dei loro doveri, al rispetto di quella più alta morale, onestà, purezza di costumi che essi avevano smarrita. Ebbene altrettanto possiamo ripetere oggi, o fratelli. Oggi noi ci troviamo di fronte ad una nuova prova, la quale richiede la noi il sostegno della millenaria nostra fede. Ripensiamo alla lunga gloriosa nostra storia, e al modo con cui gli avi nelle varie epoche e nelle innumerevoli prove superarono gravi vicende, affinché questa situazione difficile sia superata con dignità. Cerchiamo di scindere ogni nostra responsabilità da quelli che, pur nati da genitori ebrei, vollero spezzare qualsiasi legame colla fede dei loro antenati, che hanno rinnegato coi fatti se non a parole, la loro appartenenza alla casa d’Israele. Anche l’ebraismo conta i suoi fuoriusciti, quelli che l’antico profeta Isaia chiamava i demolitori, i sovvertitori della compagine d’Israele. Sono questi i più feroci antisemiti: tutti gli ambiziosi(,) gli arrivisti, tutti coloro che dalla vita non vogliono trarre che soddisfazioni personali, o godimenti materiali, che scialacquano scandalosamente il loro denaro, in momenti così difficili per tutto il mondo, che non hanno avuto alcuno scrupolo, né hanno inteso quanto male essi cagioneranno ai veri ebrei, che conducono vita austera, morigerata, dignitosa, ai fratelli più sensibili, più modesti, più austeri. Questi rappresentano oggi quelli che si ubriacarono e commisero orge al banchetto di Assuero, di cui parla il midrash della Meghillà, sono essi che richiedono come naturale misura i castighi di Dio sopra Israele. Ma anche chi fra noi, e mi auguro formino la maggioranza, può allontanare da sé qualsiasi ingerenza in quei pessimi sistemi di vita di cui poco fa trattammo, ognuno di noi deve ripensare alla gran responsabilità che in momenti come i nostri pesa su ciascuno individuo, che si sente stretto dal patto Divino! Non basta soffrire con virilità, bisogna patire insieme con chi è più disgraziato di noi, bisogna dividere il peso, perché non diventi troppo grave, insopportabile, e tragico. Dio misericordioso ci assisterà, se noi sapremo assistere gli altri, quelli in particolar modo fra i nostri fratelli, che sono sospinti attraverso il mondo per ignote vie, bussanti alle porte che i popoli ricchi di tante terre tengono chiuse. È un grande esempio di fede in Dio, ed anche di fede negli uomini, quello che dobbiamo offrire, come Israele ha fatto in ogni istante alla sua lunga e drammatica storia! Durante periodi gravi come il presente, per l’umanità in genere, noi dobbiamo tenere un atteggiamento interno ed esterno che serva di modello, semplicità di vita, austerità di costumi, astenersi in particolar modo da qualsiasi spreco di averi, pensando a tanti miseri profughi, che chiedono a noi un pane e un tetto, portare con dignitosa e proba consapevolezza la veste di ebreo, atteggiamento che viene giustamente apprezzato anche dagli avversari equanimi. E tanto più verrà apprezzato quanto più chiara apparrà la genuina concezione dell’ebraismo, quanto più noi penseremo ed agiremo secondo la dottrina e le norme etiche della Torà, che è il tesoro morale di tanta parte del genere umano; quanto più saremo in qualunque momento in qualunque evenienza nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, perfetti osservanti dei precetti Divini, senza ostentazione senza debolezze. Questo è il crogiuolo nel quale si provano le virtù di dirittura e di fermezza, di cui debbono esser capaci coloro che vogliono santificare nella loro vita il nome di Dio, la fede millenaria, come fecero attraverso i secoli i padri che ci hanno preceduto. La nostra indomita energia vitale ha sempre saputo reagire contro l’asprezza pungente del dolore reale presente perché al di sopra degli eventi umani si è sempre delineata l’azione protettrice di quella Potenza invisibile, che il libro di Ester non nomina mai, ma che assolutamente è il protagonista vero di tutti i fatti che esso racconta. È la Provvidenza che non lascia che Israele sia distrutto mai, è la Provvidenza che lo lascia punzecchiare, ma colpire a fondo giammai… Ed è appunto per questa misteriosa manifestazione che Israele anche nelle giornate più buie e più tetre, e davanti alle minacce le più clamorose, conserva sempre lo spiraglio della fiducia illimitata, si mantiene con dignità e con fede, Perché sempre si è ripetuto attraverso i secoli quella felice procedura negli avvenimenti che si manifestò ai tempi di Ester e Mardocheo, e cioè al periodo di minaccia di una completa distruzione, che era stata decretata. Segue tosto la salvezza miracolosa, inattesa, insperata. La città di Susa mandava gridi di gioia ed era in festa.
Per i Giudei poi tutto era luce gioia esultanza e gloria.

Rav Dario Disegni (1878 – 1959)