Oltremare – Sconfitte

Da qualche giorno sono tornate le notizie culturali di effettiva attualità durante i notiziari e telegiornali israeliani. Mancavano da mesi, ma sembravano anni, con l’eccezione della pubblicazione di nuove canzoni, più ma spesso meno legate alla pandemia (nell’occasione ho scoperto che non sono solo i film ad essere già vecchi di almeno due o tre anni quando finalmente arrivano sui grandi schermi: anche le canzoni apparentemente non vengono scritte di getto, registrate in una cantina e via, alla radio).
Ma proprio adesso che ci stiamo riabituando, prima sospendono tutti i concerti e qualunque altra espressione pubblica di cultura per il lungo fine settimana di Purim – e passi. Tanto chi ha voluto si è assembrato ugualmente a Jafo o a Gerusalemme, quindi non si sa cosa sia servito non permettere nemmeno ai vaccinati di godersi un po’ di musica o una sera a teatro. Ma poi a ruota sono partiti i reportage sulla candidata israeliana al Golden Globe che non vince, e vince invece il titolo di miglior attrice la protagonista di “The Queen’s Gambit” lasciando tutta Israele orfana di un premio che qui davvero si credeva possibile.
Io a dire il vero non ho visto la serie “Unorthodox” e la ragione è la faccia da topino triste della protagonista Shira Haas, appunto, la perdente, che in tutti i trailer fa una tale tristezza a guardarla che non ho mai sentito la pulsione di vedere neanche la prima puntata tanto per fare, come si fa ormai con qualunque serie su Netflix o altrove, in queste nostre vite pandemiche. E posso dire come aggravante che anche “Shtisel”, la serie che fa da ragione di esistere per “Unorthodox” l’ho abbandonata dopo poche puntate, per via del personaggio del padre vedovo, che (almeno a inizio serie) è di una tale innata meschinità e cattiveria che mi sono disamorata subito anche di tutti gli altri personaggi, nessuno dei quali ha la statura per metterlo al suo posto. Forse perché il suo posto nella sua famiglia e nella sua micro-società è proprio quello che occupa, o che tutti gli lasciano volentieri occupare. Quindi, quando si è affacciata a Netflix la faccia da topino triste, prosecuzione ideale e logica di “Shtisel” l’ho snobbata senza fare alcuna fatica. E adesso mi dispiace lo stesso che non abbia vinto, perché – checché si pensi fuori da Israele – anche qui saremmo tutti contenti di buone notizie, per quanto frivole. Sarà per il prossimo anno: pare che la produzione di film non sia stata sospesa del tutto, quindi c’è speranza che qualche israeliano o israeliana faccia faville al prossimo Golden Globe, magari perfino in presenza e non su zoom.

Daniela Fubini