Pilpul – Murales

Quella dei grandi murales dipinti, senza autorizzazione, sulle facciate di due palazzi di Napoli, raffiguranti i volti di due giovani caduti in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, è davvero una vicenda molto triste e inquietante, che spinge a un grande pessimismo riguardo al futuro del nostro Paese, e soprattutto degli ambienti più disagiati e in difficoltà del Mezzogiorno.
L’esistenza di ogni uomo è sempre sacra e preziosa (o, comunque, è sempre bene crederlo), e ogni morte violenta dovrebbe sempre indurre a un momento di riflessione, di silenzio e di considerazione nei confronti di chi abbia perso prematuramente la vita, indipendentemente da quelle che possono essere state le sue responsabilità. Chi conosce i problemi del radicato degrado sociale di alcune zone del nostro Sud, della scarsa presenza dello stato, della capillare pervasività delle organizzazioni criminali, dell’azione suppletiva da esse svolta nei confronti delle istituzioni, del diffuso mercato della droga, dell’alto tasso di disoccupazione e via dicendo, sa bene quanto la vita dei nostri ragazzi sia a rischio. Sa bene come una differenza anche di sole poche centinaia di metri, riguardo al luogo dove si è nati, possa determinare una grande differenza di destino, così come ognuno sa quanto conti avere o avere avuto questi o quei familiari, questi o quegli amici, questi o quei docenti, fare o avere fatto questi o quegli incontri. Quale persona che ritenga di essere onesta e per bene può essere sicura che lo sarebbe stata certamente in ogni caso, anche essendo nata in un ambiente completamente diverso? Io, per me stesso, non avrei affatto questa certezza.
Ciò detto, ritengo anche molto sbagliato, ingiusto e pericoloso fare conto che non esista il libero arbitrio e la responsabilità individuale, così come è offensivo dimenticare che tra i peggiori delinquenti ci sono persone nate e vissute sempre nel privilegio e nella bambagia, così come ci sono persone poverissime – io ne ho conosciute parecchie – che si farebbero tagliare un braccio pur di non rubare un solo centesimo. Come è profondamente ingiusto e sbagliato mettere sullo stesso piano i caduti delle forze dell’ordine con coloro che hanno impugnato le armi contro di loro, o contro cittadini inermi e innocenti.
Quei ragazzi avevano preso una strada sbagliata, e voglio credere che, se ne avessero avuto la possibilità, l’avrebbero lasciata. Nella mia funzione di docente universitario, diverse volte sono andato a fare degli esami in carcere. Ricordo bene il colloquio con un mio esaminato, di età matura, che, a colloquio ultimato, mi confidò che una cosa che molto lo rattristava era non ricevere mai messaggi dall’esterno. Non sono un buonista, ma poi gli scrissi una cartolina, a cui ovviamente, felice e commosso, rispose. Siamo rimasti in contatto, si è poi laureto, ha scritto un libro (che mi ha regalato), e, dopo avere trascorso molti anni in prigione, è uscito e, come si dice, “si è rifatto una vita”. Ne sono lieto, così come penso che la pena che ha scontato sia stata giusta, e credo che lo pensi anche lui. Una morte violenta impedisce una simile possibilità, è sempre una sconfitta, la fine di tutto. Se fosse stato possibile assicurare alla giustizia i due ragazzi dei murales, e far loro scontare un periodo di detenzione, avrebbero potuto comprendere il loro errore, redimersi, svolgere un onesto lavoro, sposarsi, avere dei figli e dei nipoti, dare il loro affetto alle loro famiglie e il loro contributo a una società che aveva bisogno anche di loro. Non è stato possibile. Peccato.
Ma qual è il messaggio trasmesso da quei due murales? Anche se non è detto esplicitamente, è chiaro che si tratta di un messaggio profondamente sbagliato, consistente in una glorificazione delle due giovani vittime, commemorate come due eroi, caduti nell’adempimento di chi sa quale dovere. E, contemporaneamente, in una criminalizzazione delle forze dell’ordine, colpevoli della loro morte (quando non c’è dubbio che, in questo caso, non c’è stato alcun sopruso e alcun eccesso di potere). Un significato che, ove mai ce ne fosse bisogno, è reso ancora più chiaro dall’enorme didascalia posta sotto uno dei due giovani volti: “verità e giustizia per x”, lo stesso motto usato per Giulio Regeni, il quale, com’è noto, è stato, lui sì, per davvero, una vittima incolpevole delle forze dell’ordine.
Coloro che difendono i murales dicono che il loro obiettivo sarebbe un altro, ossia quello di ammonire i giovani napoletani a non seguire la cattiva strada intrapresa dai due loro coetanei. Ma si tratta di una palese bugia, il messaggio non è affatto questo. Il TAR, che è stato chiamato a decidere sulla cancellazione delle due opere, si è pronunciato a favore della loro conservazione, in quanto si tratterebbe di opere d’arte. Una sentenza molto discutibile, nonostante l’evidente pregio dei due ritratti, perché è evidente che il problema principale non è certo quello del loro valore artistico, ed è avvilente che l’arte venga strumentalizzata per degli scopi così poco edificanti.
Una vicenda amara, dunque, che lascia un grande senso di sconforto. Quei due giovani non solo hanno avuto la sfortuna di cadere in cattive frequentazioni, e di vedere recidere così prematuramente le loro giovani vite, ma anche dopo la morte subiscono una dolorosa offesa.
Se fossi credente, dedicherei alle loro anime una sincera preghiera, confidando che il Dio in cui non credo sappia apprezzare il buono che c’è stato nei loro cuori, posando uno sguardo triste e leggero sui loro errori di ragazzi. Da non credente, posso solo affidare a queste righe il mio sentimento di dolore, impotenza e solitudine.

Francesco Lucrezi