L’intervista con Pagine Ebraiche
“Anziani, fragilità da tutelare”

”Mi resta impressa, di questo primo anno di pandemia, la mia prima uscita dopo il lockdown. Nell’aria sentivo una cappa di inquietudine. Il silenzio, che molte volte è meraviglia, lo avvertivo invece come gravido di pericoli. Una sensazione mai provata fino ad allora, decisamente strana. Come sono tornata a casa, ho scritto una poesia”.
Sopravvissuta adolescente alla Shoah, Edith Bruck è una scrittrice e poetessa di altissimo profilo. Il suo ultimo libro, Il pane perduto, è in lizza al prossimo Premio Strega.
Del libro si è parlato e continua a parlare molto. Un’intervista sui temi sollevati in questa struggente opera, rilasciata all’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, ha portato papa Bergoglio a richiedere un incontro privato con lei, nella sua abitazione romana. Un momento, anche dal punto di vista simbolico, molto forte.
“Per me la Memoria è vivere e la scrittura è respirare”, dice Bruck. E questa, aggiunge con Pagine Ebraiche, è stata la sua salvezza anche in regime d’isolamento forzato. “Vivo tutto il mio tempo in casa, esco pochissimo. Scherzando con gli amici dico che il mio è un po’ un bunker, il bunker Bruck” spiega l’autrice, nata in Ungheria ma italiana d’adozione da ormai moltissimi anni. Al suo attivo numerosi romanzi e poesie. Lo Strega, per lei, non è una novità: era già stata in lizza nella cinquina finale, nel 1974, con Due stanze vuote. “In casa mi sento protetta. D’altronde, anche senza Covid, non sono mai stata troppo mondana. Penso molto. Forse, per la mia salute, penso anche troppo. Ed è da questa attività – dice Bruck – che scaturiscono pensieri non troppo positivi”.
La sua impressione è che, anche stavolta, l’umanità non stia imparando dai suoi errori. Persistendo così in modo inquietante nelle storture, nelle miopie e negli eccessi che rischiano di mandare in frantumi una società. “Pensiamo al Covid: si elencano i morti – accusa – come se fossero noccioline. E pensiamo agli anziani, visti il più delle volte come un peso, un fastidio di cui liberarsi al più presto. Il modello verso cui tendiamo è quello di una crescente disumanizzazione. Andiamo a marcia spedita, a me pare, verso un mondo caratterizzato da un sempre più marcato egoismo, da una non voglia di condividere. La verità è che al mondo manca l’amore. Che è sempre la miglior medicina”.
Il generale imbarbarimento ha radici più profonde del Covid. “La gente – sostiene Bruck – è da
tempo ormai che si è allontanata. Nella società della comunicazione, bisogna dirselo, non c’è più comunicazione. Ognuno è chiuso nel suo piccolo mondo, non ci si parla davvero più”.
C’è di che esserne sopraffatti, per un animo sensibile come quello di Edith. Che però, come ha rilevato Furio Colombo nel proporla per lo Strega, ha dalla sua una “misteriosa e straordinaria letizia” che le permette di affrontare, con la forza delle sue idee e dei suoi sentimenti, il particolare periodo contingente.
Tra le iniziative in cui è stata coinvolta in questi mesi menziona con piacere la commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria alla fascia di popolazione più anziana voluta dal governo. Presieduto da monsignor Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, il gruppo di lavoro è composto da professionalità diverse. Prezioso tra gli altri è proprio il contributo di Edith Bruck.
“La mia proposta – racconta – è stata soprattutto una: dare agli anziani più spazio. Nei giornali, in televisione. C’è bisogno della loro voce. E non solo al tempo del virus”.

Adam Smulevich – Pagine Ebraiche marzo 2021

(3 marzo 2021)