L’orzo

La prima delle colture distrutte dalla settima piaga in Egitto, fu l’orzo perché “era già quasi maturo…Il frumento e la spelta non furono danneggiati perché sono tardivi nello sviluppo” ( Esodo 9. 31-32)
L’area di origine delle forme ancestrali di questa specie può essere individuata nel Vicino Oriente, più precisamente nell’area compresa nelle attuali Israele, Giordania, Siria e nella parte sud della Turchia orientale.
L’orzo coltivato deriva dall’orzo selvatico con il quale conserva una grande affinità, tanto che alcuni studiosi li considerano un’unica specie, in quanto interfertili. Si tratta con molta probabilità del cereale che per primo è stato coltivato dall’uomo: le testimonianze più antiche di coltivazione risalgono al 10 500 a.E.V., nel Neolitico. Sicuramente tipi polistici erano coltivati in Mesopotamia nel 7 000 a.E.V. mentre nel 5 000 a.E.V.. l’orzo era diffuso in Europa centrale, con estensioni fino alla Scandinavia e in Egitto, dove già nel 3 000 a.E.V.. avveniva la trasformazione in birra. Fino al XV secolo era tra i cereali più diffusi per la panificazione. Da queste indicazioni si comprende che si tratta di un cereale estremamente adattabile a condizioni climatiche le più diverse. Nel processo di domesticazione i primi coltivatori hanno dovuto confrontarsi con problemi diversi: le diverse varietà oscillano dai distici ai tetrastici ed esastici, parole un po’ complesse che stanno ad indicare quante file di spighette elementari caratterizzassero la spiga. È chiaro che l’abbondanza di file di spighette potesse apparire attraente, ma i chicchi che crescevano dentro la spighetta erano di dimensioni più ridotte rispetto alle varietà dotate soltanto di due file. Tra i diversi cereali domesticati dall’Uomo, l’orzo non è quello più produttivo, ma ha il notevole vantaggio di avere un ciclo vitale breve che lo sottrae agli effetti più estremi della stagione arida. È assai frugale nelle sue esigenze nutritive e contiene un modesto quantitativo di proteine.
Ma qui dobbiamo fare un passo indietro, anzi in alto. Agli albori della civilizzazione (da 3 a 10 millenni fa) l’uomo è gradualmente passato dal nomadismo pastorale alla stanzialità dell’agricoltura.
I vari cereali (frumento, orzo, segale, avena), con le loro diverse potenzialità produttive e le diverse capacità di adattamento ad ambienti differenti sono stati adottati, selezionati e sviluppati dalle antiche popolazioni. Il Medio Oriente (dall’Anatolia all’Egitto; dal Mediterraneo al Golfo Persico), malgrado si tratti di un territorio (su scala mondiale) di ampiezza limitata, possiede una varietà di ambienti e di climi di tutto rispetto.
In questo quadro agroclimatico l’orzo ha ben presto conquistato un posto importante.
Il ciclo biologico è simile a quello del frumento; la capacità di accestimento, cioè la capacità di proliferare nuovi fusti (ciascuno portatore di una spiga) dell’orzo è però maggiore, così come la velocità di crescita durante la fase di levata (accrescimento del fusto preliminare allo sviluppo della spiga). Confrontato con gli altri cereali è quello che resiste meglio ai terreni salsi; però è meno tollerante al freddo rispetto a frumento e segale. Ma l’utilizzo nutrizionale dell’orzo deve essere andato di pari passo con lo sviluppo di alcune tecnologie della cui complessità oggi non ci rendiamo conto, ma che rappresentano un notevole progresso nello sviluppo della civiltà umana. L’utilizzo semplice e grezzo dei granelli per l’alimentazione dava risultati qualitativamente limitati: il grande salto è stato la macinazione dei granelli per estrarne il contenuto. Le farine, però, sono costituite da amido, cioè un complesso polisaccaride, cioè una grossa molecola costituita da tante molecole di zucchero. La complessità chimica e la dimensione di tale molecole garantisce la sua stabilità, che è un vantaggio in fase di conservazione, ma diviene un ostacolo al momento del suo utilizzo, perché sono rari e poco efficienti gli enzimi che la possono demolire, rendendola disponibile ed utilizzabile a scopo nutrizionale da qualsiasi organismo. Ma fin dalla notte dei tempi l’Uomo ha scoperto che il seme stesso disponeva degli enzimi necessari alla mobilizzazione delle riserve presenti nel granello. Il processo di germinazione è accompagnato dalla liberazione di enzimi che demoliscono le lunghe catene delle grandi molecole di amido, al fine di rendere disponibili, per i germogli, gli zuccheri semplici, di facile utilizzo a scopo energetico (e quindi nutritivo) per la pianta emergente e quindi in fase di accrescimento. A questo punto la piantina che si sta formando e l’Uomo sono in competizione per lo stesso patrimonio nutritivo che si sta rendendo disponibile. Ma l’Uomo non può lasciare quel “ben di Dio” a disposizione della piantina: se ne libera uccidendola con un trattamento termico. Pochi minuti di temperatura elevata e la pianta muore, lasciando disponibili gli zuccheri per la nutrizione all’ Uomo: è nato il processo di “maltizzazione”. Ma il processo di utilizzazione degli zuccheri semplici , il malto, non si è fermato qui. Nata forse dall’osservazione acuta di incidenti casuali, è stata sviluppata la tecnologia della “fermentazione”, cioè l’utilizzo degli zuccheri semplici, appena ricordati, da parte di microorganismi (i lieviti) che trasformano gli zuccheri in alcool e in gas (l’anidride carbonica). Due sostanze appetibili: il primo, rendeva euforici, mentre il secondo rendeva la bevanda di gusto piacevole (quanti sono ancora oggi coloro che amano bere l’acqua “frizzante”?) E il processo si è sdoppiato, procedendo però in parallelo: è stato sostenuto che l’invenzione del pane e della birra siano coeve e si siano intersecate, perché le materie prime erano le stesse per entrambi i prodotti, era solo “questione di proporzioni”: se si metteva più farina che acqua e si lasciava fermentare si otteneva il pane; se invece si invertivano le quantità mettendo più acqua che farina, dopo la fermentazione si otteneva la birra. Questa è una delle bevande più antiche prodotte dall’uomo, probabilmente databile al settimo millennio a.E.V., registrata nella storia scritta dell’antico Egitto e della Mesopotamia. La prima testimonianza (reperto archeologico) chimica nota risale all’incirca intorno al 3500-3100 a.E.V.. e gli studiosi ritengono che la capacità dell’uomo di sviluppare tecnologie sia stata responsabile della trasformazione dell’ Uomo da nomade a sedentario. In un secondo tempo sono stati sperimentati i vari cereali presenti sul territorio e l’Uomo ha messo a confronto l’orzo con la segale, l’avena e il frumento. Ognuno di questi aveva pregi, colturali e qualitativi che portavano a preferire uno rispetto ad altri. Spesso, la qualità del prodotto non coincideva con il successo agronomico della coltura. Condizioni ambientali particolarmente rigide costringevano a preferire un cereale di qualità organolettiche inferiori, ma produttivo.
Salvo casi particolari il cereale preferito fino ad oggi è stato il frumento. Ma orientamenti dietetici contemporaneamente innovativi o forse, direi, “nostalgici” hanno riportato in auge anche cereali trascurati per secoli o utilizzati soltanto per produzioni di nicchia.
Comunque si deve all’orzo l’intera filiera della birra che si è industrializzata ed è diventata preponderante in molti paesi settentrionali. Il sapore di questa bevanda, malgrado la ricchezza di alcool è naturalmente scarso: di qui l’aggiunta del luppolo, o, in qualche località particolare anche di succhi di frutta. Ma siamo anche debitori all’orzo del “lievito di birra” che rende soffice il pane (di frumento) di cui ci cibiamo quotidianamente.
Da notare che i lieviti del pane e della birra sono gli stessi che, a contatto con il succo dell’uva, ci danno il buon vino. Dobbiamo quindi a questo cereale, frugale, poco esigente, alcuni dei prodotti che non solo sostentano la nostra vita, ma anche la rallegrano: il pane e il vino. E il loro ruolo è stato riconosciuto, tanto che per “santificare” lo Shabbat e le altre solennità, la tradizione ha scelto appunto il succo dell’uva, fermentato con il lievito della birra, insieme al pane per il quale si ringrazia il Signore, di averlo fatto nascere dalla Terra.

Roberto Jona, agronomo