Haftarà in tempo di guerra
Allievo di Arthur Schnabel, Franz Schreker e Leonid Kreutzer presso la Akademie der Künste di Berlino, il pianista e compositore ebreo polacco Władysław Szpilman (foto in basso) tornò a Varsavia a causa dell’ascesa al potere del nazionalsocialismo intraprendendo la carriera di pianista e compositore; partner dei violinisti Roman Totenberg, Ida Haendel e Henryk Szeryng, scrisse colonne sonore di film e lavorò come pianista presso la Polskie Radio.
Dopo l’istituzione del Ghetto di Varsavia, continuò a lavorare come pianista presso ristoranti e Cafè del Ghetto esibendosi altresì con il violinista Zygmunt Lederman e in duo pianistico con Andrzej Goldfeder; nel 1940 scrisse il bellissimo Concertino per pianoforte e orchestra, ricco di venature jazzistiche – la musica jazz non era consentita dall’autorità occupante tedesca – abilmente trasfigurate in un linguaggio musicale tardo-romantico tale da non destare sospetti.
Nel 1942 scampò alla deportazione verso i Campi di sterminio rimanendo nel Ghetto in qualità di operaio edile; dopo la liquidazione del Ghetto nel maggio 1943 si nascose presso la cosiddetta parte ariana della capitale polacca grazie all’aiuto dei suoi amici della Polskie Radio, nel novembre 1944 fu aiutato dal capitano della Wermacht Wilm Hosenfeld che lo sorprese presso un edificio abbandonato della Niepodległości Avenue e gli chiese di suonare su un pianoforte colà disponibile.
Dopo la Guerra tornò a lavorare presso la Polskie Radio, compose opere sinfoniche, pianistiche, radiofoniche e popolari, nel 1963 insieme a Bronislav Gimpel fondò un quintetto; morì nel luglio 2000.
Nel 1942, prima che scampasse alla deportazione, Szpilman scrisse una Mazurka in Fa minore intrisa di linguaggio chopiniano, facilmente riconoscibile è il richiamo alla Mazurka op.33 n.4 di Chopin; l’esecuzione di musica di Chopin era interdetta ai musicisti ebrei del Ghetto, pertanto Szpilmann trovò un modo geniale di tornare a respirare Chopin senza necessariamente eseguirlo.
Per una spontanea associazione rigorosamente ebraica di idee, non si può non ricordare quanto accadde presumibilmente durante le persecuzioni del sovrano seleucida Antioco IV Epifane nel 168 prima dell’era volgare, allorquando fu proibito agli ebrei di leggere e studiare la Toràh; a causa di ciò, la lettura della Haftarà – brano dai Profeti che si legge ogni sabato, il cui contenuto richiama la Parashà ossia il brano settimanale della Toràh – sostituiva il Pentateuco costituendone un lontano ma ben udibile richiamo, placava temporaneamente il bisogno di Toràh del popolo ebraico.
Piace pensare alla musica prodotta in Ghetti e Lager come a una sorta di laica Haftarà in tempo di guerra, nel pieno dell’emergenza umanitaria del sec. XX; in fondo, il coro Va’ Pensiero dal Nabucco di G. Verdi non è altro che una esecuzione di musica concentrazionaria – pur nel contesto teatrale – di un coro di prigionieri ebrei nella desolazione della deportazione babilonese del Primo Tempio.
E ancora, il suggestivo canto blues creato nelle piantagioni di cotone statunitensi durante il periodo della schiavitù non è soltanto la ricreazione in chiave concentrazionaria del millenario Canto della Terra sgorgato dalle prime fonti antropologiche dell’Africa subsahariana ma è altresì la matrice del gospel e del jazz; tuttora, l’uso imprescindibile di percussioni o del battito ritmico delle mani – tanto in una jazz session quanto nel canto corale di una chiesa evangelica americana – contiene la memoria ancestrale del tamburo, nobile africanità del tronco ligneo percosso durante le ore notturne con cadenza simile a telegrafo che trasmetteva in un primordiale alfabeto Morse da un villaggio della Guinea a una piantagione del South Carolina andata e ritorno.
L’Arte non si sviluppa mai a valle bensì a monte di una civiltà; essa è stata una delle prime conquiste dell’uomo contestualmente alla capacità di arare e seminare, procurarsi il cibo e cuocerlo.
Chi dipinse sulla roccia viva di Altamira (Spagna) raffigurando bisonti e altri mammiferi cacciati dall’uomo, impastando con leonardesca maestria ocra e altre polveri colorate, stava facendo Arte; le grotte del Paleolitico sono piene di opere dell’ingegno umano.
La musica non è un’imitazione della vita ma è la vita stessa capovolta, con le radici dell’albero piantate in cielo e i rami che penetrano in profondità nel terreno.
Che sia stata creata durante il Primo Tempio di Gerusalemme o durante l’Età barocca o in pieno Romanticismo, la dimensione temporale della musica è il futuro; la musica scritta in Ghetti e Lager è il più grande Bene immateriale del mondo a venire.
Francesco Lotoro
(10 marzo 2021)