Controvento – Covid
e differenze di genere

Del Covid-19 abbiamo imparato molto, sia sulla diagnosi, la terapia, i vaccini. Ma molto rimane ancora da capire. Uno dei misteri riguarda l’epidemiologia. Perché in certe regioni il Covid infierisce più che in altre? Perché i giovani inizialmente non sembravano essere colpiti, e ora invece si ammalano? Il clima ha qualche effetto? E l’inquinamento? E il gruppo sanguigno? Esiste un gene o qualche caratteristica epigenetica che rende alcuni più sensibili al Covid? E soprattutto, si può parlare di una differenza di genere sia nella predisposizione a contrarre il virus che nel decorso della malattia?
Le più recenti statistiche pubblicate dal progetto “The sex, gender and Covid-19 Project” di Global Health indicano che il numero dei casi è pressapoco uguale tra uomini e donne, ma le donne sviluppano sintomi meno gravi, più raramente hanno necessità di terapie intensive (10 donne ogni 18 uomini) e più raramente muoiono (10 donne ogni 15 uomini). Perché? Secondo una ricerca di Paola Profeta e Vincenzo Galasso della Università Bocconi con Vincenti Pons di Harvard, il decorso più favorevole potrebbe essere spiegato con l’attitudine delle donne a rispettare molto più degli uomini le misure di sicurezza, alle abitudini di vita più sane, e a una maggiore attenzione ai sintomi precoci. Si è visto che i Paesi in cui le donne sono a capo del governo (Danimarca, Finlandia, Nuova Zelanda, Germania e Islanda) le modalità di lotta alla pandemia sono state più democratiche e inclusive con strategie di comunicazione più prudenti e chiare rispetto a Paesi come il Brasile, l’Inghilterra e gli Stati Uniti dove il machismo dei leader ha dato la priorità ad atteggiamenti di forza e disprezzo per le misure di prevenzione.
Un nuovo progetto sulle differenze di genere è stato recentemente varato dall’ Università della Florida, Cern, Humanitas, Università Milano Bicocca, Università della Svizzera Italiana, Universitat Politècnica de València, IRCCS Sacro Cuore Don Calabria Hospital of Negrar, Valpolicella, Humanitas. Del team fanno parte la virologa Ilaria Capua, la fisica Fabiola Gianotti, la biostatistica Grazia Valsecchi e l’esperta di statistica Antonietta Mira, che stanno raccogliendo un database -per ora 16.000 casi- da studiare secondo un’ottica di genere, facendo ricorso alle più aggiornate tecnologie della data science.
Analoghi studi vengono portati avanti in Israele, presso la Hebrew University of Jerusalem e in Svizzera dal Women’s Brain Project, una organizzazione non-profit fondata nel 2016 e finalizzata a studiare come i fattori di sesso e di genere impattano le malattie del cervello e della mente, instaurando un dibattito con la comunità scientifica a la società in generale. Ne fanno parte scienziati provenienti da varie discipline, tra cui la medicina, le neuroscienze, la psicologia, la farmacia e la comunicazione, che lavorano insieme a operatori sanitari, pazienti e loro famiglie e caregivers, attori dell’agenda politica e altre parti interessate al fine di operare una trasformazione nella sanità tenendo conto della medicina di precisione.
“I farmaci – spiega la fondatrice Antonella Santuccione Chadha – dovrebbero essere testati prendendo in considerazione le caratteristiche di sesso e di genere dei pazienti reclutati negli studi clinici. Queste infatti possono influenzare non solo il loro effetto ma anche la loro sicurezza, insieme ovviamente ad altri fattori quali malattie concomitanti, età ed etnia . Questo è importante anche per la posologia, ma raramente viene tenuto in considerazione. Nemmeno i vaccini per il Covid sono stati testati secondo parametri di genere.”
E proprio sui vaccini sta emergendo una forte differenza di genere nelle reazioni all’inoculazione. Le donne manifestano una maggiore reattività. Uno studio pubblicato negli Stati Uniti dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), indica che delle quasi 7.000 persone che hanno riportato effetti collaterali forti, il 79% erano donne. Questo potrebbe essere imputato alla maggior reattività del sistema immunitario nelle donne, sostiene n una intervista alla rivista Health il dottor William Schaffner, specialista di malattie infettive presso la Vanderbilt University School of Medicine: Le donne infatti soffrono di malattie autoimmuni molto più degli uomini, per ragioni ancora incomprensibili, ma che potrebbero avere a che fare con il sistema ormonale. Purtroppo finora si è prestata pochissima attenzione alle differenze di genere in medicina e farmacologia.
Di questi temi si discuterà nel webinar “Sex and Gender Differences on Brain and Mental Health during the Pandemic” organizzato dalla Hebrew University of Jerusalem Mercoledì 17 marzo alle 19 ora italiana (qui il link per l’iscrizione, gratuita).
Le relatrici sono due neuroscienziate, Hermona Soreq della HUJ e Maria Teresa Ferretti di WBP, e due psicologhe, Shir Atzil della HUJ e Annemarie Schumacher Dimech di WBP. Parleranno della differenza di sesso e genere nel cervello e nella salute mentale durante la pandemia, perché se è vero che le donne appaiono meno colpite dal virus, lo sono molto di più sotto l’aspetto psicologico e socio-economico. Moltissimi i casi di depressione a affaticamento per l’aumento dell’attività, dovendo coniugare figli in DAD, home working e ménage domestico, l’aumento riscontrato in tutto il mondo delle violenze domestiche, i problemi economici – la crisi ha danneggiato molto di più le donne che spesso hanno lavori sottopagati, precari e nei settori più colpiti, come commercio e turismo.

Viviana Kasam