Dall’Iraq a Israele

A margine del viaggio di Bergoglio in Iraq, Repubblica ha riportato il rilievo di una ricercatrice, Tzionit Fattal, (della quale non sono riuscito a rintracciare l’affiliazione) che tra le persone incontrate dal pontefice “non c’era un ebreo, né è stata nominata una comunità vecchia di 2500 anni, ma ormai estinta”.
L’osservazione è corretta, ma mi sembra un po’ strumentale. Da ricerche effettuate pare che la “comunità” ebraica dell’Iraq oggi sia composta da quattro persone! È evidente che in Iraq di ebraico c’è (o ci dovrebbe essere) soltanto la memoria, ma di persone vive non c’è più nessuna traccia. Ma val la pena di ripercorrere la cronaca di questa diaspora la cui origine risale addirittura all’esilio babilonese. La storia di questa comunità è lunga e, come si può facilmente intuire, complessa. Anche se molto interessante non è possibile raccontare qui una storia che si articola su due millenni e mezzo. Ma val la pena di soffermarsi sulla fase conclusiva di questa lunga diaspora.
Nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele, l’Iraq (che occupa oggi il territorio dell’antica Babilonia) si schierò, ovviamente, contro Israele. Inviò anche alcune unità militari ai confini della Palestina mandataria per contrastare la nascita ed il consolidamento del nuovo Stato ebraico.
Sul proprio territorio si trovava una comunità composta da circa 120mila ebrei che si trovò improvvisamente in pericolo. Ma un giovane (23 anni) operativo dell’Haganà , nato in Iraq venne inviato a Bagdad per tentare la loro salvezza. Nel 1941 c’era stato un pogrom durante il quale alcune centinaia di ebrei erano stati uccisi. Shlomo Hillel, camuffato da arabo, ritornò a Bagdad per insegnare l’ebraico agli ebrei locali e soprattutto per sviluppare un sentimento sionista. Occorre capire che allora (a differenza di oggi) il sionismo non era un sentimento diffuso e l’aliyah non appariva a tutti come la soluzione dei problemi degli ebrei, nemmeno per chi era oggetto di persecuzione. D’altra parte è comprensibile agli inizi che il neonato Stato di Israele potesse alimentare incertezze sulla propria solidità a chi non avesse avuto la fede e il coraggio dei primi pionieri. Hillel riuscì a far uscire di contrabbando dall’Iraq un piccolo numero di ebrei, nascondendoli su autocarri che, attraversando il deserto, arrivavano a Haifa, l’unico porto della Palestina mandataria. Dopo un anno vi ritornò e osservando le navi che attraversavano il Mediterraneo con i resti dell’ebraismo europeo, Hillel si convinse che agli ebrei dell’Iraq non spettava nulla di meno. Ma l’Iraq vietava l’emigrazione, e la Gran Bretagna, ancora potenza mandataria, vietava l’ingresso degli ebrei: occorreva quindi operare clandestinamente. L’Haganà avviò quindi l’operazione Michaelberg (dal nome del pilota) portando, per via aerea, in Palestina, 50 ebrei iracheni. Ma lo scoppio delle ostilità della Guerra d’Indipendenza resero impossibile il proseguimento dell’operazione. Nel giugno del 1948, mentre la guerra infuriava e la situazione in Iraq peggiorava per gli ebrei, Hillel si recò in Iran, questa volta fingendosi francese. Per rendere il travestimento credibile, andò in Iran passando da Parigi. Qui incontrò un ebreo convertito, Alessandro Glasberg, che si era addirittura fatto prete. Durante la 2° Guerra Mondiale questi aveva salvato 2mila ebrei nascondendoli in vari monasteri, e a questo punto era molto coinvolto nell’aiuto agli ebrei europei che lottavano per superare gli ostacoli frapposti dalla Potenza mandataria al loro ingresso in Palestina. Fantasiosa è stata la via immaginata dai due per salvare gli ebrei iracheni: Hillel doveva trafugarli attraverso il confine, non troppo sorvegliato tra Iraq e Iran. Hillel aveva il compito di corrompere la polizia iraniana affinché chiudesse un occhio su questi passaggi illegali.
Da qui i profughi volavano a Parigi, dove salivano su un treno che li portava a Marsiglia, da dove, grazie all’amicizia di Glasberg con il ministro francese dell’Interno ottenevano il visto per imbarcarsi verso Israele. Successivamente i gruppi volarono direttamente in Israele grazie a una compagnia di aerei charter Trans-Ocean finanziata dal Mossad: in capo a pochi mesi 12mila ebrei iracheni riuscirono a rifugiarsi in Israele. Ma Hillel non era soddisfatto. Nel 1950 la grande opportunità: il nuovo governo iracheno emise una legge che consentiva per un anno la possibilità di emigrare. Di nuovo a Bagdad Hillel, sotto le false spoglie di un inglese, Richard Armstrong, quale rappresentante di una compagnia americana di aerei charter: la Near East Air Transport. La compagnia era reale e finanziata ampiamente dal Mossad: questa appaltò in esclusiva ad un’agenzia di viaggi irachena il trasporto aereo degli ebrei fuori dal paese. Forse non era un caso che tra gli azionisti dell’agenzia di viaggi ci fosse nientemeno che il primo ministro dell’Iraq, Tawfik-al-Suwaidi che Hillel riuscì persino ad incontrare. All’incontro partecipò anche il capo della Comunità ebraica, che era cugino di Hillel, ma non lo riconobbe e approvò il piano di emigrazione. Per superare le incertezze del primo ministro Hillel fece presente che sarebbe stato nell’interesse del suo governo liberarsi di un gruppo di irrequieti sovversivi. Il primo ministro riteneva si trattasse di 7-8000 giovinastri turbolenti. Invece in capo a poco tempo 90mila ebrei si erano registrati per emigrare. In totale entro il 1952 ben 124mila ebrei iracheni furono evacuati con 950 voli dall’Iraq verso Israele: la stampa internazionale denominò quella strabiliante operazione col nome biblico di “Ezra e Nehemia”. In Iraq rimasero solo poche migliaia di ebrei, mentre la maggior parte si trasferì in Israele dove divennero una importante componente della società locale. L’esilio babilonese era finalmente terminato! Hillel, autore di questa operazione miracolosa divenne per 20 anni membro della Knesset e assunse anche responsabilità ministeriali, reggendo i dicasteri dell’Interno e della Polizia. Nel 1977 quale responsabile degli Interni mise la sua esperienza di nuovo al servizio di ebrei in pericolo: decise che gli ebrei di Etiopia dovevano essere salvati. Oggi in Iraq sono rimasti soltanto quattro ebrei, mentre dall’Etiopia l’intera comunità (120mila persone) si è trasferita in Israele. Un particolare commovente: la nuora, etiope, Enatmar Salam, scoprì solo dopo il matrimonio che l’incontro con il futuro marito era merito dell’operazione architettata da suo suocero. Hillel ha serenamente concluso la sua vita l’8 febbraio di quest’anno all’ età di 97 anni, nella sua casa di Ra’anana.
Fu indubbiamente uno dei grandi artefici di Israele, ma mantenne sempre un profilo basso e molto modesto.

Roberto Jona

(16 marzo 2021)