Il pretesto dell’urgenza

In Italia spesso affermazioni illogiche e inquietanti passano tranquillamente senza che nessuno trovi niente da ridire. Capita per esempio di sentir dire che di questo o di quel tema non si deve discutere perché ce ne sono altri più urgenti. È quello che è stato detto, per esempio, pochi giorni fa per replicare alla proposta dello ius soli. Non voglio entrare nella questione in sé, su cui ciascuno può legittimamente esprimere le proprie opinioni, ma l’argomentazione secondo cui non se ne dovrebbe parlare perché ci sono altri temi più urgenti mi sembra non solo debolissima (chi la sostiene non pare in grado di discutere nel merito) ma anche estremamente pericolosa. Quante cose poco o per nulla urgenti si discutono nel nostro parlamento, così come nelle riunioni a cui ci capita di partecipare. Se sono tutti d’accordo la discussione è rapidissima e il problema dell’urgenza non si pone. Se il problema si pone è perché non sono tutti d’accordo. E allora perché non discutere le ragioni del disaccordo anziché accampare pretesti?
Ma in base a che cosa, poi, si determina l’urgenza? Per chi aspira a vedersi riconosciuti diritti che non ha il problema è ovviamente urgentissimo, ma non è urgente per tutti gli altri. Quindi l’idea implicita, e preoccupante, è che un tema non sia urgente se riguarda una minoranza. Sulla base di argomentazioni simili oggi subiremmo ancora le leggi razziali (nell’Italia distrutta dalla guerra c’erano sicuramente problemi più urgenti che occuparsi dei diritti di poche migliaia di persone), anzi, non saremmo mai usciti dai ghetti (anche nel 1848, con la prima guerra d’indipendenza imminente e poi in corso, c’erano sicuramente problemi più urgenti dell’emancipazione degli ebrei). D’altra parte, dove stanno le maggioranze? A pensarci bene, salvo rarissimi casi, apparteniamo tutti a minoranze. Medici, insegnanti, imprenditori, contadini, ecc. sono tutti in minoranza rispetto alla totalità della popolazione italiana; eppure nessuno obietta contro l’idea che si perda tempo a votare leggi che riguardano solo determinate categorie professionali. Persino alcuni diritti civili considerati fondamentali per le democrazie probabilmente non interessano alla maggior parte della popolazione.
Il fatto è che dietro al falso pretesto dell’urgenza sta l’idea che noi possiamo essere in qualche modo danneggiati dal fatto che i nostri diritti siano estesi ad altri, come se i diritti fossero una torta da dividere a fette. Per fortuna non è così: non abbiamo nulla da perdere dall’estensione dei nostri diritti ad altri, e neppure dal fatto che si dedichi un po’ di tempo a parlarne.

Anna Segre