Il virus dell’impotenza

La temporanea sospensione nella somministrazione del vaccino AstraZeneca (un inghippo adesso risoltosi), oltre ai danni oggettivi che sta causando ad una campagna vaccinale che, in Europa, arranca tra molte difficoltà, costituisce comunque un danno d’immagine non da poco. E quando si parla di immagine non ci si riferisce a qualcosa di superficiale, momentaneo, occasionale, epidermico, destinato quindi ad esaurirsi a breve. Il timore che il blocco temporaneo sia stato generato non da comprensibili (ancorché eccessive) valutazioni di cautela sanitaria bensì da un combinato disposto tra calcoli politici, riflessi di conflitti commerciali e preesistenti disequilibri di potere tra i paesi europei (a partire dal ruolo di primazia della Germania) è senz’altro fondato. E non si risolve con il solo superamento del blocco delle somministrazioni, dinanzi alla manifesta fragilità dell’Unione europea su tutta la linea – non solo in questo caso ma anche, a priori, nella prassi perseguita per sottoscrive gli accordi e i contratti di acquisto dei lotti di fiale – così come dell’ambiguità della Germania medesima, ossia del governo Merkel ed in particolare del suo ministro della Sanità Jens Spahn, che appartiene allo stesso partito della Kanzlerin. La questione, quindi, non riguarda esclusivamente il livello politico, semmai coinvolgendo molti altri elementi, che sono tutti contemporaneamente in gioco in questa complessa partita. Poiché in Italia, se il cosiddetto movimento No-Vax è un insieme variegato e non unitario di elementi, in Germania – invece – è parte integrante della destra radicale che, da tempo, ha colto le possibilità che si possono aprire dinanzi alla conclusione della lunghissima esperienza della cancelleria Merkel. Quindi, del declino di un partito mediano e costituzionalistico come la CDU-CSU (al pari della vecchia SPD). Anche per questa ragione sta esercitando pressioni sull’intero sistema politico, usando come passpartout e grimaldello l’angoscia che deriva dagli effetti sociali, civili ed economici dai processi pandemici. Volgendo pertanto, a proprio favore, tutti gli isterismi di massa. Non si tratta di scomodare i pur inquietanti fantasmi di un «passato che non passa», ovvero il calco neonazista. Ancora una volta, infatti, il punto non è solo questo. Semmai, va capita la ragione per la quale la complessa vicenda delle vaccinazioni (ossia, un atto di profilassi collettiva rivolta alle società nel loro insieme) abbia scatenato reazioni scomposte. Istigando le paure, di cui una destra illiberale è la depositaria e beneficiaria. Inutile, a tale riguardo, esercitarsi nella vecchia contrapposizione tra destra e sinistra, come se la storia – e la cronaca – fossero invece fatte di un‘improbabile par condicio: non esiste un colpo alla botte ed uno al cerchio; chi si avvantaggia del declino delle democrazia sociali non è un improbabile, poiché insussistente, «comunismo», tale perché storicamente esauritosi; semmai c’è invece una destra radicale, intimamente antidemocratica, capace di rigenerare le sue capacità di attrazione verso collettività in forte disagio.
Dinanzi all’ovvietà delle misure di salute e igiene pubblica, la deep society (quella che nel nome della «libertà» individuale invoca a piè sospinto la rottura di ogni vincolo di responsabilità) ha invece dato fuoco alle polveri delle invettive contro la «dittatura sanitaria» e il «pensiero unico». Chi segue le traiettorie dell’eversione – oggi si è eversivi non perché si trami con le bombe, ossia con un progetto politico fondato sulla coazione, bensì con il ricorso agli innumerevoli strumenti della delegittimazione digitale – sa bene che la questione della pandemia si è trasformata in un campo di battaglia che non si risolverà quand’essa dovesse essere comunque ricondotta ad una dimensione ragionevole, ovvero gestibile con gli strumenti ordinari della sanità pubblica. Il fuoco del radicalismo antidemocratico, infatti, si alimenta della reiterazione di un senso di panico morale permanente. È tale ciò che crea angoscia nelle persone, facendo sì che esse cerchino una protezione non nelle istituzioni legali bensì in qualche suggestione di facile richiamo, che sia di ordine politico, ideologico non meno che civile. Siamo sull’orlo del precipizio? No. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che ci troviamo in difficoltà dinanzi al segno potente dei cambiamenti che ci stanno coinvolgendo, dei quali non sappiamo riconoscere la trama. È solo ripartendo da una tale consapevolezza, peraltro, che si potrà ricostruire un nuovo tessuto connettivo, basato non su prescrizioni moralistiche, inesorabilmente impotenti dinanzi alla forza dei fatti, ma su un progetto di futuro accettabile se non per tutti quanto meno dai molti.

Claudio Vercelli