Periscopio – Masada

Il libro di Samuele Rocca, appena pubblicato, Mai più Masada cadrà. Storia e mito della fortezza di Erode (Salerno Editore) si presenta davvero come un lavoro di grande pregio e alto interesse, che si fa apprezzare soprattutto per l’ottica prismatica adottata dall’autore, che affronta l’affascinante tema trattato da una molteplicità di angolazioni. E anche coloro che abbiano già specificamente studiato la vicenda e l’epopea di Masada non potranno non apprendere, attraverso le pagine del volume, molti elementi nuovi, in grado di inquadrare i vari problemi da un’angolazione diversa, e non potranno non riconsiderare le proprie posizioni, alla luce di nuove considerazioni e nuovi spunti di riflessione.
Masada, indubbiamente, è all’insegna della eccezionalità, tanto dal punto di vista storico, quanto da quello geografico. La parola appartiene, com’è noto – al pari, per esempio, di termini come Termopili, Waterloo, Sarajevo, Rubicone, Canne, Zama… -, a quella ristretta cerchia di vocaboli che indicano luoghi in cui si sono consumate vicende storiche di straordinaria importanza, tanto da rendere impossibile pronunciarli evocando il solo significato geografico, senza fare venire immediatamente alla mente anche gli accadimenti che in quel posto si sono consumati. Ma, a differenza delle Termopili, di Waterloo, di Sarajevo, del Rubicone, di Canne e di Zama – che, al di là del loro essere stati scenari di eventi epocali, restano, sul piano geografico, dei luoghi ‘normali’ -, Masada è una località eccezionale anche dal punto di vista naturalistico, come ben sa chiunque abbia avuto l’opportunità di visitarla. Sembra uno scherzo della natura, costruita appositamente per offrire un riparo tale da permettere a pochi individui di resistere, anche per lunghi periodi, all’assedio di nemici, asserragliandosi in un luogo ‘altro’, inaccessibile e inespugnabile. Una terrazza pianeggiante, sulla cima di un altopiano vertiginoso, in grado di assicurare a chi vi sia entrato una relativa abitabilità e comodità, ma difficilissimo da raggiungere, soprattutto se chi vi sia asserragliato intenda impedire ad altri di farvi accesso.
Fu in ragione di questa eccezionalità che la rocca fu scelta dal crudele Erode come eventuale rifugio dai suoi molti nemici, e poi dai partigiani di Eleazar come estrema trincea di resistenza contro l’invincibile esercito di Roma. Ed è stata ancora questa eccezionalità geografica a sollecitare lo stupore e la curiosità di tutti gli storici che l’hanno descritta – a partire da Flavio Giuseppe, il cronista della guerra tra ebrei e romani del 66-70 e.v. – e degli esploratori e degli archeologi – come Samuel Wolcott, Charles Warren, Yigael Yadin – che, a partire dal XIX secolo, l’hanno raggiunta, scalata ed esplorata.
Ma Masada – come evoca il titolo del libro di Rocca – è anche la storia di un mito. Il mito di una tragedia – quella della definitiva sconfitta del popolo ebraico insorto, e del tragico suicidio di massa dei resistenti in essa asserragliati, nell’anno 73, decisi a preferire la morte alla schiavitù – e quello di una rinascita, di una rinnovata volontà di riscatto e di resistenza, sinteticamente espresse nella celebre frase, tratta dal poema – intitolato appunto ‘Masada’ – di Yitzhak Lamdan, composto a Tel Aviv nel 1927: “mai più Masada cadrà”. La fortezza di Erode, così, diventa, come dice Rocca, “un mito moderno”, un “mito fondativo”: il “simbolo collettivo della volontà del movimento sionista di rinnovare la creazione di uno stato ebraico nella Terra di Israele”. E, proprio come la roccaforte, anche il suo mito avrebbe conosciuto, negli anni successivi alla riacquistata indipendenza di Israele, vicende alterne: esaltato come monumento di coraggio, orgoglio e fierezza, ma anche contestato come immagine cupa e retorica, atta a eternare una perenne “sindrome da assedio”, fino a diventare – dopo la costruzione della teleferica, nel 1971 – elemento di richiamo per il turismo di massa.
La lettura del libro di Rocca – che fornisce un quadro estremamente dettagliato e puntuale di questa realtà geografica, storica e mitica – è stata, per me, davvero ammaliante. Ma mi ha anche suscitato, non so bene perché, un grande senso di malinconia. Non è un caso se i due luoghi più famosi di Erez Israel – il Kotel e Masada – sono fatti solo di pietra. Ma se, negli anfratti tra i macigni del Muro Occidentale, spuntano degli arbusti, a Masada non si vede un solo filo d’erba. Tutta la storia, tutta la tragedia, tutto il mito è inciso solo nella roccia del deserto di Giuda, in un luogo senza vita.
Come il Kotel, Masada, gigantesco sasso di roccia rossa senza vita – con il suo immenso carico di memoria, di dolore, di sacrificio -, mi appare ammantata soprattutto di silenzio. Ci sono stato tante volte, e il libro di Samuele mi ha fatto venire un grande desiderio di tornarci, ma in un modo diverso ed, evidentemente, impossibile da realizzare: il desiderio di andarci da solo, senza nessuno, all’alba, o al tramonto, per ascoltare appieno il suo silenzio, e nient’altro. Lo farò, lo sto facendo, con l’immaginazione, o in sogno.

Francesco Lucrezi, storico