Ticketless – La fiaccola di Bianca

Mentre infuriava la polemica sull’assenza di donne nella leadership del maggiore partito di sinistra italiano, leggevo il libro di una studiosa inglese, Caroline Moorehead, dedicato a quattro protagoniste donne della Resistenza in Piemonte, da poco tradotto in italiano (La casa in montagna. Storia di quattro partigiane, Bollati Boringhieri). Il libro ha molte imprecisioni e per chi conservi il ricordo di almeno tre delle quattro protagoniste lascia l’amaro in bocca. Due delle tre partigiane che ho conosciuto erano affettivamente legate a un compagno ebreo (Bianca Guidetti Serra e Silvia Pons); le altre due, per ragioni biografiche meno coinvolgenti, sono state assai vicine alla storia dell’ebraismo torinese (Ada Gobetti e Frida Malan). Di Frida Malan ricordo le simpatie fino all’ultimo manifestate per Israele. La Resistenza in Piemonte vantava aperture verso l’universo femminile che il PD di oggi nemmeno si sogna, pensavo. Tuttavia di quelle figure si dovrebbe parlare con maggiore cognizione di causa, rispetto alle pagine un po’ vaghe della studiosa anglosassone.
Oggi vorrei parlare di Bianca Guidetti Serra, di cui nel 2019 cadeva il centenario della nascita. Torino nelle settimane scorse l’ha commemorata con un ampio e articolato convegno, per i miei gusti un po’ troppo rigido nella sua impalcatura ufficiale: tale penso sarà sembrato a chi ha avuto come me la fortuna di conoscere Bianca, che detestava l’ufficialità e la retorica. Nessuno dimentica l’impegno politico di Bianca, l’attenzione al mondo sindacale, la lotta contro le schedature Fiat. Ne ricordo la voce pacata e ferma nei discorsi pubblici, il calore con cui accoglieva giovani studenti come me che erano rimasti impressionati dalla sua ricostruzione precisa del processo intentato dopo il 25 aprile ai torturatori di Emanuele Artom (ve n’è traccia in un volumetto suoi di ricordi edito da Linea d’ombra). Della Torino di quei tardi anni Settanta e primi Ottanta insieme a Primo Levi e Cesare Cases, amava fare lunghe passeggiate al Valentino. Bianca era il simbolo di una sinistra extraparlamentare alquanto rara: antidogmatica, ragionante, arguta, autocritica quando necessario. Bianca, la rossa è il titolo azzeccato della monografia che le ha dedicato Santina Mobiglia (Einaudi, 2009), questo sì un libro documentato e solido nelle sue analisi interpretative. Bianca veniva spesso nella vecchia sede di via Fabro dell’Istituto della Resistenza di Torino, dove iniziai a lavorare nel lontano 1999. Ricordo come se fosse ieri una sera in cui passò per quelle stanze e vedendomi intento a lavorare su Primo Levi aprì per me l’armadio di ricordi lontani, di quella lunga loro amicizia. Ero piuttosto timido, non avevo gli strumenti per vincere la soggezione che Bianca, a differenza di Carla Gobetti, incuteva. Di Carla mi è capitato di scrivere che fosse una Regina senza scettro. Bianca mi faceva venire in mente una di quelle avvocatesse impegnate a difendere gli innocenti, in processi disperati che si vedono talvolta nei film americani. Mi disse molte cose, quella sera, la fama di Levi non era allora la stessa di oggi. Rimpiango di non averle chiesto la sua personale interpretazione delle due righe più oscure che Levi abbia scritto affidandole a una cartolina firmata insieme a Luciana Nissim e Vanda Maestro, spedita proprio a Bianca dal treno partito da Fossoli, destinazione ignota: “Cara Bianca, tutti in viaggio alla maniera classica. Saluta tutti. A voi la fiaccola. Ciao, Bianca, ti vogliamo bene Primo, Luciana, Vanda”. Da anni mi interrogo senza giungere a una soluzione, su quale poteva essere il significato di quel messaggio cifrato. Che cosa significa viaggiare “alla maniera classica”? E perché una fiaccola?

Alberto Cavaglion