Spuntino – Sollecito ardore

Il brano di Tzav che si legge questo sabato (coincidente con Shabbat HaGadol) comincia con una disposizione indirizzata da D-o ad Aronne attraverso Mosè. Rashì (Lev. 6:2) spiega che “tzav” (= disponi, stessa radice di mitzvà) implica “zeruz” (= sollecitudine, solerzia – nelle mitzvot, appunto) “miyad uldorot” (= subito e per generazioni), soprattutto allorquando bisogna rimetterci di tasca propria. Nello specifico il versetto parla dei sacrifici, in particolare di ‘olà, che va completamente bruciato sull’altare (a differenza, ad esempio, di “shlamim” che viene mangiato dai Cohanim) quindi sicuramente non può portare alcun beneficio materiale. La questione della sollecitudine diventa ancora più chiara se si tiene conto che questo tipo di sacrificio è dovuto non tanto da chi infrange un divieto (“lav”) bensì da colui che non adempie un obbligo (“mitzvàt ‘asè”). Questo può succedere, ad esempio, quando si perde un’occasione rimandando a domani quello che si potrebbe fare subito. Quindi si capisce il richiamo, chiaramente correttivo, alla sollecitudine che, tra l’altro, ritroviamo anche a Pesach (si pensi al processo rapido con cui bisogna preparare le azzime, basta un piccolo ritardo e diventano chametz, e alla fretta con cui il popolo ebraico uscì dall’Egitto). Rav Alfonso Arbib spiega molto bene l’importanza ed il significato della premura nella sua lezione sulla parashà di VaYikrà (qui). Dopo può voler dire mai. Ma cosa intende Rashì con “subito e per generazioni” visto che senza Beit HaMikdash comunque non si possono portare sacrifici? La lettura e lo studio delle norme sui sacrifici contano come se venissero messe in pratica e con questo intento vanno contemplate. Anche al giorno d’oggi – e fino a quando non verranno ripristinate le condizioni – siamo dunque costretti a cambiare il modo di osservare alcune mitzvot che non possono essere messe in pratica per causa di forza maggiore. Come? Attraverso lo studio e la preghiera, perfino a livello individuale. Così come il fuoco dell’altare doveva essere lasciato acceso (un obbligo) senza che si spegnesse (un divieto), un concetto che viene ribadito per ben tre volte nel giro di cinque versetti (Lev. 1:2-6), è altrettanto importante continuare ad alimentare lo studio e l’ortoprassi con costanza e ardore, senza cedere all’inerzia.

Raphael Barki