Dante contro Pesach

Per molti mesi ho pensato, discusso, progettato, sognato intorno alla data fatidica del 25 marzo, il Dantedì proprio nel settecentesimo anniversario della morte del poeta. Ne ho parlato nelle riunioni di dipartimento e nei consigli di classe, ho scritto mail e discusso con gli allievi. Neanche la scoperta che la data sarebbe ricaduta nell’autogestione ha smorzato i miei entusiasmi, perché immaginavo gli allievi organizzare attività più o meno ludiche come quiz, scenette, disegni, ecc. Dante si presta benissimo anche a questo, ed è proprio lì che sta il suo fascino: parla a tutti, non solo agli intellettuali. Avevo pensato proprio a tutto, tranne al fatto che in pratica il 25 marzo sarebbe stata l’antivigilia di Pesach. Eccomi dunque presa tra due fuochi: convegno o pulizie? Conferenza o lavaggio della macchina? Lezione del grande dantista o spedizione a caccia di torte e formaggi?
Ovviamente se Dante e Pesach fossero stati davvero alternativi il problema neanche si sarebbe posto. Ma se proprio avessi voluto a tutti i costi correre dietro agli eventi danteschi avrei potuto rinunciare a qualche dolce, lavare la macchina all’ora di pranzo, fare le pulizie a mezzanotte, ecc. Non ho fatto nulla di tutto questo. Pur con tutto il mio affetto e la mia devozione per Dante, Pesach ha avuto il sopravvento non solo nell’organizzazione delle mie giornate ma anche nei miei pensieri. Dante può attendere. Anche perché non ho bisogno di aspettare proprio il 25 marzo per pensare a lui. E forse per me sono più significative le discussioni con gli allievi, le loro osservazioni e battute, le idee strambe che mi vengono per presentare questo o quel canto in modo originale, insomma il Dante vissuto, non il Dante ascoltato pendendo passivamente dalle labbra altrui.
E poi è un fatto identitario: nella settimana che precede Pesach non voglio e non posso pensare ad altro. Liberare la casa dai cereali è anche un modo per liberare la testa da pensieri estranei per dedicarsi in tutto e per tutto al ricordo della liberazione dall’Egitto. Del resto cos’è il 25 marzo? La data supposta in cui è iniziato il viaggio di Dante, cioè la Pasqua cristiana che a sua volta ricorda qualcuno che festeggiava Pesach. La Pasqua ebraica ha la precedenza logica e cronologica.
Mi sono però concessa un’eccezione: la conferenza di Alberto Cavaglion organizzata dal Meis. In effetti non c’era modo migliore di celebrare il Dantedì: parlare di ebrei che hanno citato Dante, analizzare le ragioni di questa identificazione così forte con il poeta che in qualche modo rappresenta e sintetizza l’identità italiana, ma anche riflettere sulle specificità delle letture ebraiche. Ed è stato gradevole ritrovarsi tra persone che hanno piacere di parlare di Dante e al contempo non possono permettersi di far lievitare troppo la discussione perché devono apprestarsi a uscire dall’Egitto. Ovviamente quando si parla di ebrei italiani e Dante è impossibile non pensare a Primo Levi. E non solo per l’ovvio canto di Ulisse. Cavaglion, tra molte cose interessanti, ha fatto notare come il linguaggio dantesco influenzi il modo in cui Levi traduce salmi o altri passi biblici. E a titolo di esempio ha citato proprio la poesia di Primo Levi (Pasqua) dedicata a Pesach. Il cerchio si chiude alla perfezione e il conflitto forse era solo apparente. Il 25 marzo tornerà l’anno prossimo e anche se gli anni dalla morte di Dante saranno 701 non sarà poi così grave. Anche Pesach torna tutti gli anni ma non ci sono cifre tonde da calcolare perché ogni anno è per noi come l’anno dell’uscita dall’Egitto.
Auguro a tutti un Pesach kasher ve-sameach.

Anna Segre