La preghiera per la rugiada
A Pesach il clima cambia. La pioggia cessa e fino all’autunno è vano sperare che scenda ancora prima delle feste autunnali (di solito Succot), ma il Popolo continua (e deve continuare) serenamente la sua vita. Per tutti, ma in particolare per un popolo di pastori e di agricoltori, l’acqua è una risorsa fondamentale. La promessa Divina: “Il paese che tu vai a conquistare non è come la terra egiziana dalla quale usciste, che si deve seminare e irrigare con la forza del piede come se fosse un orto; il paese che tu vai a conquistare è un paese di monti e di valli che viene irrigato dalla pioggia del cielo; una terra della quale il Signore si prende cura, sulla quale continuamente si posano gli occhi del Signore, dal principio alla fine dell’anno. Se dunque ascolterete i precetti che io vi comando oggi……Io concederò alla vostra terra la pioggia a suo tempo, quella autunnale e quella primaverile e tu potrai raccogliere il tuo grano, il tuo orzo e il tuo olio; farò crescere l’erba nel tuo campo per il tuo bestiame. E tu potrai mangiare e saziarti” (Deut.11:10-15).
L’ansia dei pastori e agricoltori che si avviavano verso questa Terra sconosciuta traspare dalla promessa tranquillizzante del Signore. Ma se d’inverno si poteva sperare nella pioggia, dalla primavera all’autunno l’unica ragionevole speranza era la rugiada (“tal” in ebraico).
E allora ecco nascere da questa ansia, alla fine della stagione delle piogge, l’accorata preghiera al Signore di concedere al Suo popolo, non le impossibili piogge, ma almeno il ristoro della rugiada.
A differenza delle piogge, che si vede da dove scendono (le nubi che oscurano il cielo) la rugiada ha un carattere misterioso: una notte serena e fresca lascia i campi coperti di goccioline che rappresentano un ristoro all’arsura del giorno precedente: da dove vengono? Noi (moderni) abbiamo capito il meccanismo della sua formazione, ma in antico questa acqua benefica ed essenziale appariva come un puro, diretto, munifico dono del Signore. Ecco quindi che a Pesach, all’inizio della stagione asciutta il popolo rivolgeva al Signore la preghiera di concedere questa grazia ristoratrice.
“La nazione abbronzata dal sole” come la definisce Shlomo Ibn Gevirol (poeta ebreo spagnolo nato a Malaga esattamente 1000 anni fa), che riprende una definizione di Israele del Cantico dei Cantici, rivolge quindi al Signore un’accorata preghiera di concedere almeno il ristoro delle gocce di rugiada.
“Manda il Tuo vento favorevole” è tra le invocazioni iniziali: segno che già in antico avevano capito che l’origine di questa grazia del Signore era il mare e il vento che ne sospinge il vapore sulla terraferma. Una serie di rilevazioni dell’ Ufficio Metereologico di Israele ha misurato notevoli differenze di rugiada nelle diverse località del Paese. “Abbi riguardo alle messi in modo che grazie alle gocce di benedizione dia in misura piena pane a chi ne deve mangiare, medicina e guarigione!”. Con un testo molto poetico la preghiera descrive le varie colture della terra di Israele, le viti, l’olivo, la vegetazione delle oasi del deserto che tutte provvedano al sostentamento del Popolo di Israele. E nella conclusione l’inno saluta l’impossibile pioggia che caratterizza l’ inverno e invoca l’arrivo della rugiada, ricordando la promessa del Signore di essere come rugida (Osea XIV,6) in mezzo al popolo. E la rugiada è vista come espressione della benevolenza del Signore e come portatrice di ogni bene. L’invocazione al Signore è quindi che con la rugiada manifesti la Sua benevolenza verso il Popolo e la sua terra: “Con rugiade di luce illumina la terra,
con rugiade di benedizione benedici la terra……con rugiade di vita vivifica la terra….”
Ed ogni aspetto della benevolenza del Signore viene espresso e manifestato attraverso la comparsa della rugiada. L’inno di Ibn Gevirol si conclude con l’invocazione: “Tu sei il Signore Dio nostro…che fa scendere la rugiada in benedizione.”
Questa poetica preghiera viene cantata il primo giorno di Pesach, in previsione dei giorni siccitosi che ci aspettano. È rilevante, ma non sorprende, che sia rimasta nel rito sefardita, mentre in quello italiano e in quello ashkenazita è scomparsa o ridotta a poche parole che ricordano l’antica ritualità, perché le terre dove si erano diffuse queste Comunità non vedevano nella rugiada una salvifica espressione della benevolenza divina. Nelle Comunità sefardite la composizione di Ibn Gevirol viene cantata con una melodia dolcissima ed appassionata, che probabilmente ha origini derivate anche dalla musicalità dei paesi dove si erano sparse le Comunità sefardite. Speriamo che in un mondo tanto meccanizzato questa musicalità non vada perduta. E speriamo che anche quest’anno il Signore ci conceda tutte le benedizioni rappresentate alla rugiada.
Roberto Jona, agronomo
Nell’immagine: Ibn Gevirol (1020 – 1058), statua a Malaga
(30 marzo 2021)